L’ambasciatore era “protetto” da Al Qaeda

sabato 4 maggio 2013


Emerge un altro dettaglio imbarazzante sull’uccisione dell’ambasciatore statunitense Christopher Stevens a Bengasi, avvenuta l’11 settembre scorso. A quanto risulta al quotidiano statunitense Newsmax, non solo il Dipartimento di Stato non ha aumentato le forze di sicurezza per il consolato statunitense (nonostante tutti gli allarmi ricevuti), ma in compenso ha assoldato un gruppo legato ad Al Qaeda per far da guardia alla struttura.

Il gruppo in questione è la Brigata Martiri del 17 Febbraio. Per sapere che avesse legami con la rete jihadista, non occorrevano nemmeno informazioni della Cia: bastava guardare il loro profilo Facebook. Quale foto di copertina, ben prima dell’attacco al consolato statunitense, la Brigata Martiri aveva messo l’immagine di un suo guerrigliero, con un lanciarazzi sulla spalla e la bandiera nera di Al Qaeda sventolante dietro di lui.

Il guerrigliero ritratto, fra l’altro, porta la fascia frontale nera con il simbolo dell’organizzazione orfana di Bin Laden. Quella foto era stata caricata il 10 giugno 2012, dunque tre mesi prima dell’attacco al consolato. Era stata scattata, molto probabilmente, tre giorni prima, durante la manifestazione degli islamisti di Bengasi che chiedevano l’applicazione della legge coranica in Libia. Sempre nella loro pagina Facebook, gli uomini della Brigata Martiri avevano postato una provocazione, mostrando due file di foto. La prima ritraeva una serie di terroristi islamici, fra cui Osama Bin Laden, lo sceicco Yassin e il leader ceceno Dokka Umarov. La seconda fila, invece, ritraeva uomini barbuti molto stimati in Occidente, fra cui Lev Tolstoj, Che Guevara e George Bernard Shaw.

La scritta sulla foto recita: “Il barbuto è sempre sospetto, finché è musulmano”. Frase che può essere letta come un invito alla tolleranza, ma anche come un modo per negare che Bin Laden sia un terrorista. Evidentemente il Dipartimento di Stato ha voluto usare solo la prima chiave di lettura. E ha ignorato le foto con tutti i riferimenti ad Al Qaeda. Perché, stando a un documento recuperato nel consolato pochi giorni dopo l’attacco, la Brigata Martiri era indicata, dagli americani, come una “forza di reazione rapida” a protezione della missione diplomatica. Il documento recita: «In caso di attacco alla missione diplomatica statunitense, la Forza di Reazione Rapida richiederà ulteriore sostegno alla Brigata Martiri 17 Febbraio».

Prima dell’attacco, nel luglio 2012, quando il responsabile locale alla sicurezza della missione diplomatica aveva chiesto al Dipartimento di Stato di lasciare ai militari statunitensi il compito di proteggere il consolato, la funzionaria che gli rispose, Charlene Lamb (responsabile per la sicurezza dei diplomatici) scrisse nella sua email: «NO, io non (e ripeto) non voglio chiedere loro che resti un contingente militare per la sicurezza». A chi avrebbe dovuto chiedere? Ai suoi diretti superiori del Dipartimento di Stato, in ultimo alla segretaria Hillary Clinton. La Brigata Martiri, con le sue bandiere di Al Qaeda era considerata sufficiente per la difesa della vita di diplomatici e funzionari statunitensi? L’attacco è andato come sappiamo. Gli unici uomini che hanno cercato di organizzare una difesa del consolato sono morti. Erano l’ufficiale alle comunicazioni Sean Smith e gli ex Navy Seals Tyrone Woods e Glen Doherty. Non è chiaro se abbiano cercato di chiedere aiuto alla Brigata Martiri o piuttosto… abbiano dovuto combattere contro di essa.


di Stefano Magni