Il nemico che Obama non vuol vedere

martedì 23 aprile 2013


L’Fbi ha l’occasione di interrogare l’unico attentatore di Boston rimasto in vita, anche se ferito gravemente, Dzhokhar Tsarnaev. Tamerlan Tsarnaev, il più grande dei due fratelli, secondo l’ultima ricostruzione dei fatti, è stato travolto e ucciso per errore da Dzhokhar durante la rocambolesca fuga da Boston. Eppure era proprio Tamerlan l’uomo più utile per capire la trama terroristica. Era stato nel Caucaso settentrionale per sei mesi. Scandagliando il suo computer, gli agenti federali hanno trovato anche video jihadisti e un contatto assiduo con il canale di YouTube dello sceicco australiano Feiz Mohammed, con le sue prediche incendiarie contro gli infedeli e gli ebrei.

Tamerlan, fra l’altro, era già stato interrogato dall’Fbi nel 2011, dietro una segnalazione dall’estero (la cui fonte è ancora oscura), ma era stato rilasciato perché appariva come un immigrato ben integrato e, tutto sommato, innocuo. Solo dopo l’attentato di Boston e la sua uccisione, sua madre, Zubeidat Tsarnaeva, rivela alla stampa che Tamerlan si fosse radicalizzato. Che avesse adottato le idee e i comportamenti degli estremisti islamici. E che stesse “islamizzando” anche la moglie Katherine Russell: negli ultimi tempi lei portava il velo e diceva agli amici che il governo americano “usa la Bibbia come pretesto per invadere altri Paesi”. Ora la polizia statunitense ha pensato di interrogare anche lei. Tamerlan, insomma, poteva essere la mente terrorista. E Dzhokhar il fratello minore plagiato. Ma tutti gli altri sospetti? I due fratelli ceceni potrebbero essere solo la punta di un iceberg, gli esecutori materiali di un attentato preparato da tanti. Man mano che l’indagine procede, si cercano collegamenti. Perché i fratelli ceceni non hanno agito da soli, secondo quanto rivelano fonti statunitensi. Altri due studenti provenienti dal Kazakhstan sono stati fermati per violazione delle norme sull’immigrazione, ma pare siano collegati agli Tsarnaev e sono tuttora sotto interrogatorio. Vanno ad aggiungersi ad altri tre sospetti, due donne e un uomo, arrestati poco prima che venisse trovato e catturato Dzhokhar. Dai primi dettagli che emergono, sembra proprio che ad agire sia stata una cellula di almeno 12 terroristi, collegati a una rete più ampia.

Al Qaeda? Forse, ma la pista seguita, per ora, si limita al terrorismo islamico del Caucaso, che non sempre è affiliato alla più vasta rete jihadista. Dopo questo attentato l’America si scopre ancora una volta indifesa, a quasi dodici anni dall’11 settembre si trova alle prese con un nemico che non conosce e da cui viene sorpresa. Cercare di ricostruire la rete del terrore scandagliando il Web potrebbe non portare a nulla. Feiz Mohammed, il predicatore australiano è all’oscuro di tutto. Pare che negli ultimi anni si sia dato una calmata ideologica e abbia cambiato idea su molte delle cose che predicava. Non conosce, né ha mai conosciuto i fratelli Tsarnaev. Sono semmai le sue prediche ad esser rimaste su Internet così come le stelle già implose continuano a brillare nel cielo per secoli. Non è tanto una questione di persone, appunto, ma di idee. I due fratelli ceceni e i loro eventuali complici sono stati, prima di tutto, convinti dalla causa del Califfato. Hanno voluto combattere una loro “guerra” contro una società che hanno giudicato apostata, infedele e politeista, perché considerano che il capitalismo e il materialismo siano una nuova forma di politeismo dai tanti idoli, da sradicare con la violenza. L’America si ritrova impreparata a combattere una guerra contro un nemico ideologico, perché, nei quattro anni e mezzo di passata amministrazione Obama, tutti gli apparati di sicurezza, i media e i funzionari pubblici hanno cercato scientemente di rimuovere la pedina dell’ideologia dalla scacchiera della guerra al terrorismo.

«Per cinque anni abbiamo sentito predicare, principalmente da chi amministrava il potere esecutivo, la necessità di fare cambiamenti fondamentali in questo Paese per cambiare, specialmente nel mondo islamico, la percezione che il mondo ha di noi – lamenta nel suo editoriale sul Wall Street Journal l’ex Procuratore Generale Michael Mukasey – (Abbiamo sentito dire che, ndr) dovevamo premere il pulsante del “reset”. Non abbiamo udito una sola parola da quei gruppi che suggeriscono di capire e combattere un’ideologia totalitaria che esiste, almeno, sin dalla nascita dei Fratelli Musulmani, negli anni ’20 del Novecento. Questa ideologia vede negli Stati Uniti il suo principale nemico sin dagli anni ’40, quando il suo ideologo principale, Sayyd Qutb visitò il nostro Paese e rimase inorridito per tutto ciò che egli giudicò decadente». Inutile ricordare che i Fratelli Musulmani, al potere in Egitto, sono attualmente partner dell’amministrazione Obama, da cui hanno ricevuto aiuto e sostegno politico per la loro campagna elettorale. I Democratici non hanno mai cessato di combattere Al Qaeda, in quanto organizzazione, ma hanno smesso da subito di combattere lo jihadismo in quanto ideologia.

«Dicevano di combattere Al Qaeda Centrale e Al Qaeda e le sue organizzazioni affiliate, dove si pianificano operazioni per attaccare gli Stati Uniti e i loro alleati – commenta James Jay Carafano, esperto di strategia della Heritage Foundation – Bene, quando definisci il nemico in questo modo, ti senti soddisfatto. Ma il problema è che esistono una moltitudine di gruppi che ci odiano, che non sono necessariamente o direttamente collegati ad Al Qaeda, che possono attaccare gli Stati Uniti anche domani e costituiscono una grande minaccia potenziale. E stiamo parlando di Hamas, di Hezbollah, o delle Forze Qods iraniane, o tanti altri». Nel suo tentativo di avviare un dialogo strategico con l’Islam, l’amministrazione Obama ha trascurato quei musulmani liberali che vogliono realmente integrarsi negli Usa, mentre ha cercato di sottovalutare o nascondere sotto il tappeto la pericolosità dei gruppi radicali. «Fino ad oggi l’amministrazione non ha voluto nemmeno riconoscere che esiste una minaccia ideologica ed ha insistito nel darle un’etichetta priva di senso come “estremismo violento”, oppure, nel caso del maggior Nidal Hassan, autore del massacro di Fort Hood (novembre 2009), l’ha definita “violenza sul posto di lavoro” – scrive Zuhdi Jasser, presidente l’associazione Aifd dei musulmani democratici e liberali – L’Aifd chiede, a nome dei musulmani americani, che l’amministrazione Obama, i media e le università sviluppino una strategia coerente per promuovere i valori occidentali di libertà fra i musulmani, sia in casa che all’estero. E cerchi di sconfiggere la mentalità suprematista dell’Islam politico e la sua continua minaccia alla sicurezza nazionale».


di Stefano Magni