Maduro è presidente ma “ha vinto” Capriles

martedì 16 aprile 2013


Prendere il 49% (virgola qualcosa) in un’elezione nazionale è sempre una vittoria morale, un premio di consolazione. Prenderlo in un Paese che è quasi una dittatura, in cui praticamente tutto (dai media all’esercito) è controllato dal partito di governo, è una vittoria politica che può segnare l’ultima ora del regime. Il candidato all’opposizione democratica, il giovane Henrique Capriles Radonski, ha ottenuto il 49,07%, pari a 7.270.000 voti. Il discepolo di Hugo Chavez, suo ex ministro degli Esteri, nonché presidente ad interim Nicolas Maduro, ha ottenuto circa 200mila voti in più, in un Paese da 29 milioni di abitanti, riconfermando al potere il Partito Socialista Unito del “comandante”. Maduro lo conosciamo soprattutto per la sua ultima deriva “mistica”, quando ha dichiarato apertamente che, in punto di morte, Chavez ha “avuto un ruolo” nell’elezione del nuovo Papa Francesco. «Noi sappiamo che il nostro comandante è asceso in Cielo ed è faccia a faccia con Cristo – ha dichiarato l’attuale presidente durante la campagna elettorale – E qualcosa ha influenzato la scelta di un pontefice sudamericano, qualcuno è arrivato a cospetto di Cristo e gli ha detto: “Ebbene, sembra che sia giunto il momento per noi del Sud America”».

Socialismo mistico: anche Hugo Chavez ne faceva largo uso, non molto diversamente dal misticismo tutto orientale dei compagni leader della Corea del Nord. Salvo poi condannare i vescovi del suo Paese (perché non accettavano la sua concentrazione di poteri) e minacciare di rompere direttamente con la Santa Sede. «Il Papa è capo dello Stato Vaticano, non l’ambasciatore di Cristo», aveva dichiarato Chavez tre anni fa, in piena polemica sul Concordato, forse geloso del ruolo di ambasciatore di Gesù. Che vanta tutto per sé. Maduro non è simile solo nella retorica al suo maestro e predecessore. Non viene dalle file dell’esercito, come Chavez, ma da quelle della militanza sindacale. Autoferrotranviere di Caracas fu uno dei fondatori della sigla sindacale Sitrameca e uno dei primi fedelissimi del caudillo venezuelano. In tempi non sospetti, nel 1997, dunque cinque anni dopo il fallito golpe di Chavez, entrò nel suo movimento, che allora si chiamava Mvr. L’anno dopo vinse la lotteria politica: l’Mvr divenne partito di maggioranza e, trasformatosi in Partito Socialista Unito, non ha mai lasciato il potere. Con le buone e con le cattive. Nemmeno il tentativo di golpe del 2002 riuscì a buttarlo giù. Per chi si aspetta qualche cambiamento, dunque, queste elezioni sono una doccia fredda.

Maduro è più realista del re, considerando la sua storia politica e la sua rassegna di dichiarazioni. Ma, soprattutto, sarà ancora più propenso a irrigidire la presa sulla società venezuelana dopo un risultato così risicato. Perché il rischio di una guerra civile non è poi così lontano. Capriles, infatti, non ha accettato la sconfitta e chiede di ricontare il voto. Il ministro della Difesa, molto diplomaticamente, gli risponde: “L’esercito farà rispettare i risultati”. Dietro Capriles potrebbe schierarsi un bel pezzo di società civile venezuelana stanca della miseria in cui versa il Paese, della violenza dilagante (circa 120mila omicidi, il tasso più alto del Sud America) alimentata dal caos bolivariano, di uno Stato che fa il bello e il cattivo tempo, ignorando i diritti di proprietà privata e sequestrando arbitrariamente aziende e terreni. Ma dietro Maduro c’è la forza armata, sia l’esercito che la polizia, oltre alla mano armata della squadre di volontari bolivariani. L’esercito ha subito un decennio di epurazioni e indottrinamento sistematico. Perso il capo carismatico, tuttavia, non è da escludere che si possa dividere. In Venezuela niente sarà più come prima, d’ora in avanti.


di Stefano Magni