Perché l'Onu chiude gli uffici di Gaza

sabato 6 aprile 2013


L’Unrwa, agenzia Onu per i profughi palestinesi, ha chiuso i suoi uffici a Gaza e ha sospeso la fornitura dei suoi aiuti alimentari. Circa 800mila palestinesi, dunque i due terzi della popolazione della città meridionale, dipendono soprattutto da quegli aiuti e Hamas chiede con urgenza che l’Unrwa ritorni. Ma come mai l’agenzia Onu, che non può certamente essere accusata di “collaborazionismo” con Israele, ha preso questa drammatica decisione? L’Unrwa, per motivi di tagli al budget, aveva deciso di ridurre i sussidi ai profughi e giovedì scorso, per protesta contro questa mossa, i suoi uffici di Gaza avevano subito l’assalto dei manifestanti. Robert Turner, il direttore delle operazioni dell’Unrwa nella Striscia, è convinto che l’attacco sia stato pianificato: «Ciò che è accaduto – ha dichiarato ieri - è assolutamente inaccettabile.

In quelle condizioni (sotto attacco, ndr) membri dello staff dell’Unrwa o manifestanti potevano essere feriti. Questa escalation, evidentemente pianificata in anticipo, è immotivata e senza precedenti». Considerando che Hamas (che ora chiede l’urgente ripristino degli aiuti) controlla la città con pugno di ferro, l’attacco ricade sotto la sua responsabilità. Se non altro per non averlo impedito. Dunque, mancando le necessarie condizioni di sicurezza, l’Unrwa ha deciso di chiudere le sue sedi e andarsene. La vera notizia è il suicidio di Hamas. Il partito islamico palestinese fa di tutto per destabilizzare il Medio Oriente: sia ieri che in occasione della visita di Obama in Israele ha lanciato razzi contro la regione del Negev israeliano. E attacca anche chi continua ad aiutarlo. Perché Hamas vive sugli aiuti internazionali. Perché se i due terzi della sua popolazione campano solo grazie agli aiuti dell’Unrwa, vuol dire solo che il partito islamista palestinese si occupa di appena un terzo dei suoi cittadini. I soldi non mancano per continuare ad alimentare la guerriglia contro Israele, ma evidentemente non bastano per sfamare 800mila palestinesi.

Questione di priorità. Giusto a proposito dell’Unrwa, nel gennaio scorso la Germania aveva donato 7 milioni di euro all’agenzia Onu per gli aiuti alimentari a Gaza, 3 milioni dei quali specificamente destinati ai pasti nelle scuole della città di Hamas. Alla fine di ottobre aveva già donato 600mila euro, specificamente destinati alla popolazione di Gaza. Il Giappone, lo scorso dicembre, aveva donato l’equivalente di 7,7 milioni di dollari per lo stesso scopo. Alla fine di novembre, un centro di distribuzione del cibo a Jabalia, danneggiato dalla guerra, era stato ricostruito dall’Unrwa, a spese dell’agenzia. Quel che passa ancor più sotto silenzio (e appare ancora più assurdo, visto il livello di ostilità) è l’aiuto che arriva dal “nemico” Israele. Acqua ed energia elettrica arrivano dallo Stato ebraico, soprattutto a spese del contribuente israeliano. La loro fornitura è continuata anche durante la guerra fra Hamas e Israele lo scorso novembre. Gerusalemme ha, al massimo, minacciato la loro sospensione, ma non l’ha fatto. Forse si tendono a dimenticare le foto delle squadre d’emergenza delle compagnie elettriche israeliane che riparano gli elettrodotti sotto il fuoco, riparando le gru con corazzature d’acciaio.

Quegli uomini rischiavano la vita per continuare a dar la luce a chi stava sparando loro addosso. Da Israele arrivano regolarmente anche derrate alimentari. Aveva fatto scandalo la notizia, trapelata alla stampa, sui calcoli delle calorie fatti dai vertici militari israeliani, eseguiti per inviare provviste a Gaza sufficienti a non far morire di fame la popolazione locale. I critici di Israele avevano visto il bicchiere mezzo vuoto: lo avevano definito un piano di “sterminio per malnutrizione”. A loro è sfuggito, evidentemente, il bicchiere mezzo pieno: un esercito israeliano che continua a nutrire un nemico dichiarato, che spara (e continua a sparare) contro i civili israeliani. Hamas risponde con i consueti argomenti: l’occupazione, l’embargo, il “muro” giustificano qualsiasi cosa. Ma vuol sempre far dimenticare l’origine della storia. L’embargo c’è perché Hamas è in guerra contro Israele di cui vuole (c’è scritto nel suo statuto) la piena e completa distruzione. Il “muro” è stato costruito, non solo dopo il rapimento di Gilad Shalit da parte di Hamas (nel 2006), ma anche dopo la presa del potere del partito islamista (2007) con la cacciata e l’uccisione dei palestinesi di Al Fatah. L’occupazione, in compenso, non c’è. Israele si è ritirato dalla Striscia di Gaza nel 2005, proprio per dare ai palestinesi locali un’occasione di autogovernarsi. E in questi otto anni abbiamo visto qual è l’autogoverno secondo Hamas: terrorismo, guerriglia, repressione religiosa e adesso anche assalti a danno di chi cerca di sfamare la popolazione.


di Stefano Magni