Il South Dakota arma i suoi insegnanti

martedì 12 marzo 2013


Un insegnante armato fa sempre impressione. Eppure per i legislatori del South Dakota, Stati Uniti, creare dei corpi di sorveglianza interni, formati da insegnanti e altro personale scolastico, è l’unico modo per proteggere i bambini da eventuali altri pazzi che dovessero cercare di fare una strage, dopo il trauma del massacro di Newtown (26 morti, 20 dei quali bambini) dello scorso dicembre. Gli istituti nelle aree rurali, secondo il deputato Scott Craig, uno dei promotori della nuova legge, non sono abbastanza ricchi da permettersi guardie giurate o assoldare poliziotti professionisti disponibili a tempo pieno. Dunque, da luglio, si darà il via a corpi di volontari, le “sentinelle scolastiche”.

La legge è stata, ovviamente, contestata da molti insegnanti e associazioni dei parenti delle vittime. Ma i Repubblicani locali ritengono di aver raccolto molta solidarietà e consensi da parte della maggioranza dei funzionari scolastici interpellati. Non c’è alcun obbligo: ogni scuola potrà decidere se armarsi o meno. Il piano costerà relativamente poco al contribuente: lo Stato si limiterà a stanziare fondi per un programma di addestramento dei volontari. La nuova legge locale, però, riguarda tutta la nazione. Perché viene approvata proprio nel momento in cui Barack Obama sta iniziando a implementare le nuove direttive presidenziali sul controllo delle armi. E ci si avvicina al dibattito al Congresso sull’implementazione delle nuove leggi in merito. Quella dei Repubblicani nel South Dakota è una scelta volutamente in controtendenza, foriera di un nuovo conflitto fra la Casa Bianca e un governo locale, dopo quelli (già in corso da anni) sull’immigrazione, sulla riforma sanitaria e sui matrimoni gay.

Non avendo il controllo di entrambe le camere del Congresso, la maggiore risorsa per l’opposizione repubblicana è proprio nei governi degli stati. Come negli altri casi, comunque, non stiamo parlando di un semplice braccio di ferro politico. Sono due visioni opposte della società che si stanno scontrando. Per i progressisti, un uomo armato, che sia un insegnante o uno studente, o chiunque altro, è comunque un pericolo. Da un punto di vista liberal, infatti, il tasso di criminalità è legato alla diffusione stessa delle armi da fuoco. Non solo e non tanto perché il possesso di un’arma da fuoco trasforma un uomo violento o disturbato in un potenziale killer, ma anche perché diseduca la società, sdoganando la violenza. Per un progressista, infatti, un uomo è il prodotto della società. Se la società accetta la violenza, crescerà violento, vuoi per l’educazione, vuoi per imitazione. Per i conservatori, la diffusione delle armi è una realistica garanzia di una maggior sicurezza.

La mente di un individuo è una scatola nera, impenetrabile per la società. Essendo dotato di libero arbitrio, può scegliere il male. E può decidere di mettersi (assumendosene la responsabilità) contro il resto della società. Alle vittime non resta che difendersi. Se sono armate, le possono fare. Se le armi sono vietate, solo gli aggressori avranno il vantaggio di possedere un potente strumento di morte nelle proprie mani. È anche una guerra di statistiche, per dimostrare quale delle due filosofie sia più vicina alla realtà. I progressisti comparano i dati sul possesso di armi da fuoco con il tasso di omicidi effettuati con quelle. Constatano che negli Usa, 89 americani su 100 possiedono pistole e fucili: la più alta percentuale di cittadini armati nel mondo. E che il tasso di omicidi commessi con pistole e fucili è di 2,9 ogni 100mila abitanti, non il più altro del mondo, ma il peggiore dato in tutte le democrazie occidentali. I conservatori, dall’altro canto, leggono la stessa statistica in prospettiva e constatano un’altra cosa: il numero di armi per autodifesa è costantemente aumentato dalle circa 50 (ogni 100 abitanti) del 1970 alle attuali 89 su 100. Contemporaneamente il numero di crimini violenti commessi (omicidi e non solo) è passato da 3,5 milioni di casi nel 1970 a 1,2 milioni nel 2011. Più pistole, meno crimini: i conservatori sono in grado di dimostrarlo anche numeri alla mano.


di Stefano Magni