Ecuador: opposizione divisa, Correa rieletto

mercoledì 20 febbraio 2013


Rafael Correa è stato rieletto alla presidenza dell'Ecuador raccogliendo il 56,9 % dei consensi. Il principale dei suoi antagonisti, l’ex banchiere Guillermo Lasso, si è fermato solo al 23%. Nonostante le cattive condizioni di salute del suo mentore Chàvez - che questa volta non ha potuto aiutarlo di persona - Correa ce l’ha fatta per la terza volta consecutiva, dopo la vittoria di fine Novembre 2006 quando sconfisse l’ex imprenditore Alvaro Noboa, e quella del 2009 contro l’ex capo dello stato nazionalista Lucio Gutierrez. «Questa è una rivoluzione che non fermerà nessuno», ha commentato il leader socialista del partito Alianza Pais. Ed in effetti Correa ha vinto davvero a mani basse, sconfiggendo tutti gli avversari e consolidando il suo potere sempre più ad immagine e somiglianza del suo grande alleato Venezuelano, Chàvez.

Correa è un economista cattolico formatosi fra Belgio e Stati Uniti. È stato direttore amministrativo di progetti educativi finanziati dal "Banco Interamericano" e ministro delle finanze per qualche mese del governo di Palacio. L’Ecuador è uno dei primi Paesi in Sud America per esportazione di petrolio, soia e banane. Nonostante questo il Paese è ai primi posti al mondo per tasso di inflazione e livello di povertà. Sotto la presidenza di Rafael Correa, acerrimo nemico del potere militare della regione, si devono registrare la rinegoziazione del debito - di circa 12 miliardi di dollari - con l’Fmi (a favore della finanza venezuelana) ed il fallimento del paese nel 2008 che portò , sotto la spinta della crisi finanziaria sistemica, ad un accordo con i creditori dei titoli di stato ad un risarcimento di circa il 30% del valore del debito acquisito, poi ricomprato nel 2009 (in parte) dallo stato ecuadoriano ad un terzo del valore effettivo.

Poiché prima di Correa ogni politica di "dollarizzazione" e di libero mercato in Ecuador ha portato alla caduta del premier, è chiaro che il popolo ha sempre visto in lui e in Chàvez una fonte di sostentamento nonostante le condizioni di vita siano al limite, compreso nei diritti fondamentali individuali circoscritti sotto “l’elemosina Chàvatista". La stabilità politica (il paese ha avuto ben sette presidenti nel decennio precedente) ed il lieve miglioramento dei servizi di base non devono però spostare il tema centrale di questa elezione: il terzo mandato infatti potrebbe incoraggiare Correa a concentrare il potere e a procedere con politiche che potrebbero limitare ulteriormente la libertà di stampa, annullando completamente il dissenso politico interno. Inoltre, la rielezione dello scorso autunno del presidente Hugo Chávez in Venezuela, sottolinea il fascino (reale?) incondizionato sulla popolazione che esercitano i governi di sinistra che hanno utilizzato i ricavi, in piena espansione, del petrolio e le industrie minerarie per finanziare in maniera limitata programmi di assistenza sociale, volti a redistribuire la ricchezza e a contenere la disuguaglianza.

Nonostante tutto però il Pil procapite rimane ancorato sui limiti della soglia di povertà (8.600$ all’anno) tanto da domandarsi se le politiche adottate in questi anni siano state realmente efficaci. La sua vittoria ha anche evidenziato la debolezza dell'opposizione politica dove i suoi avversari non hanno fatto altro che dividere il voto, incapaci di gestire una unione coerente verso un unico candidato tramite un messaggio ed un progetto unitario. Se Correa ha un po’migliorato l'accesso all'istruzione e all'assistenza sanitaria e costrito chilometri di strade e continuato sul suo progetto di giustizia sociale, ha però anche perseverato in una forma di governo quasi dittatoriale, ampliando il potere presidenziale e indebolendo l'indipendenza dei tribunali, spesso usati per scagliarsi contro i nemici politici, i media e, a volte, gli Stati Uniti. La realtà, con Chàvez che lotta contro il cancro, è che Correa potrebbe alzare il suo profilo politico come uno dei leader più importanti della sinistra latino-americana. Una situazione che potrebbe variare l’equilibrio geopolitico dell’intera regione con conseguenze difficili da prevedere.


di Cristoforo Zervos