Rubio e Paul contrari allo stato “intelligente”

venerdì 15 febbraio 2013


State of the Union 2013: quale sarà il ruolo dello Stato? Barack Obama, nel suo discorso, lo vuole efficiente. Anzi: “intelligente”. I suoi oppositori, nelle loro risposte, lo vorrebbero limitato. Al di là della retorica, al di là delle promesse programmatiche sui singoli temi, quel che fa la differenza sono gli stessi principi fondamentali del sistema politico americano. «Non abbiamo bisogno di uno Stato onnipotente, abbiamo bisogno di uno Stato intelligente», dice Obama. Ma Marco Rubio, senatore della Florida, non ci casca e gli risponde: «Questa idea – che i nostri problemi siano causati da uno Stato troppo piccolo – è semplicemente falsa. In realtà, una delle cause principali dei nostri rovesci, la crisi immobiliare, è stata generata da dissennate politiche stataliste».

Il senatore Rand Paul, a nome del movimento anti-statalista Tea Party, esordisce, nella sua risposta, ricordando al presidente quale sia l’origine dell’eccezionalità americana: «Per la prima volta nella storia, uomini e donne hanno avuto la possibilità di avere successo nella vita, non perché figli di genitori privilegiati, ma in forza della loro iniziativa individuale e della loro voglia di lavorare. Ora siamo in pericolo perché rischiamo di dimenticare ciò che realmente ci ha resi grandi. Il presidente sembra credere che il Paese possa continuare a indebitarsi di 50mila dollari al secondo. Il presidente crede che si possano spremere ancora più soldi (…) Ronald Reagan disse: il governo non è una soluzione al problema, il governo è il problema».

Da questa differenza fondamentale sul ruolo dello Stato, discendono, a cascata, tutte le altre divergenze. «Negli ultimi anni, entrambi i partiti hanno lavorato assieme per ridurre il deficit di più di 2500 miliardi di dollari – dice Obama nel suo discorso – Lo abbiamo fatto, soprattutto, tagliando le spese, ma anche alzando le tasse per l’1% degli americani più ricchi». Ma a questo punto, il principio della redistribuzione, del dare ai poveri togliendo ai ricchi, è la ricetta giusta per guarire l’America dalla sua crisi? Gli risponde Rand Paul: «L’America non ha bisogno di un Robin Hood, ma di un Adam Smith. Nello stesso anno in cui abbiamo conquistato la nostra indipendenza, Adam Smith scrisse quel che definiva la “Ricchezza delle Nazioni”. Descrisse uno Stato limitato che non interferisce nella vita degli individui, né nella loro ricerca della felicità. Tutto quello che noi siamo e che vorremmo essere è minacciato dalla nozione stessa che si possa avere una rendita senza lavorare, che si possa avere la botte piena e la moglie ubriaca e spendere, ogni anno, mille miliardi di dollari che non ci sono».

Il presidente democratico paventa il pericolo dei tagli automatici: «Nel 2011, il Congresso ha approvato per legge un accordo secondo cui, se i due partiti non dovessero raggiungere un accordo sulla riduzione del deficit, per quest’anno scatterebbe un taglio automatico sulla spesa pubblica di circa 1000 miliardi di dollari. Questo taglio improvviso, arbitrario e profondo potrebbe minare la nostra efficienza militare. Devasterebbe interi settori della massima importanza, come l’educazione, l’energia e la ricerca medica. Rallenterebbe la nostra ripresa e ci costerebbe centinaia di migliaia di posti di lavoro». Ma non per tutti questo babau del taglio automatico è necessariamente un male. Anzi, per il liberale Rand Paul, è un’opportunità: «Pochi capiscono che i tagli automatici non costituirebbero neppure una vera e propria riduzione della spesa pubblica, ma solo un rallentamento del suo costante aumento. Anche se dovesse entrare in vigore il taglio automatico, la spesa pubblica crescerebbe comunque di più di 7mila miliardi di dollari nella prossima decade. Solo a Washington DC si può parlare di “taglio” a fronte di un aumento della spesa di queste dimensioni. Non solo il taglio automatico deve avvenire, ma dovrebbe ammontare ad almeno a 4mila miliardi di dollari, per evitare un nuovo declassamento del rating degli Stati Uniti».

Il dibattito riguarda anche, in concreto, cosa tagliare. I Democratici hanno sempre dato la priorità ai tagli alla Difesa (come Obama ha già iniziato a fare, riducendo il deterrente nucleare) tentando di salvare tutti i programmi sociali. Al contrario, i Repubblicani hanno sempre mirato a una Difesa forte, a costo di aumentare la spesa pubblica in quel settore, pur accettando tagli in tutti gli altri campi. Rand Paul, in questo, fa eccezione. Perché, nel suo discorso di risposta allo State of the Union 2013, proclama l’intenzione di tagliare ovunque: «È tempo che i Democratici ammettano che non tutti i dollari spesi nel welfare siano sacri. Ed è tempo che i Repubblicani realizzino che la spesa militare non è immune da sprechi e frodi. Dove potremmo tagliare? Bene, possiamo partire subito col porre fine a tutti gli aiuti militari a quei Paesi in cui la nostra bandiera viene bruciata e dove la gente canta “Morte all’America!”. Il presidente non dovrebbe dare i nostri F-16 e i nostri carri armati Abrams al governo radicale islamico egiziano».

La riforma della sanità è un campo di battaglia ancor più duro rispetto alla stessa Difesa. Su questo punto Obama vanta la sua vittoria principale e promette di incalzare: «Ho pronta una riforma di Medicare (assistenza sanitaria per gli anziani, ndr) che permetterà di risparmiare, per l’inizio della prossima decade, tanto quanto è stato previsto dalla proposta di riforma bipartisan della commissione Simpson-Bowles. E, già da adesso, la Legge per la Sanità Accessibile (l’Obamacare, ndr) sta rallentando la crescita dei costi medici». Ma: «L’Obamacare è stata concepita per aiutare la classe media – gli risponde Marco Rubio – per aiutare gli americani della classe media ad acquistare polizze assicurative a buon mercato. Ma già da ora, molti stanno perdendo le loro assicurazioni di cui erano soddisfatti. E, poiché l’Obamacare ha creato dei costosi obblighi per le aziende con più di 50 dipendenti, ora molti di questi datori di lavoro non assumono più. Non solo: iniziano a vedersi costretti a licenziare o a trasformare i loro dipendenti da full time a part time».

E per finanziare il settore pubblico, di che tassazione avranno bisogno gli Stati Uniti? «Questa è la nostra migliore occasione per fare una riforma fiscale completa e bipartisan – incita Obama – che incoraggi la creazione di nuovi posti di lavoro e aiuti a ridurre il deficit. Gli americani meritano un nuovo codice del fisco che aiuti i piccoli imprenditori, richieda loro meno tempo per compilare le dichiarazioni dei redditi e lasci loro più tempo per espandere le loro imprese e assumere altri lavoratori. Ci vuole un codice che ci assicuri che i miliardari non paghino in base a un’aliquota inferiore rispetto a quella della loro segretaria; un codice che riduca gli incentivi per la fuga delle imprese all’estero e abbassi le aliquote per quelle aziende che vogliono produrre e assumere qui in America. È questo lo scopo della riforma fiscale. È questo ciò che faremo assieme». Anche in questo caso, come è ormai tipico nella retorica di Obama, trionfa sempre l’idea di una politica tarata sulla classe media, che contenga almeno una misura punitiva per i più ricchi. Questa idea di fondo è evidente soprattutto nel passaggio che precede la proposta di un nuovo codice del fisco: «Al fine di raggiungere il nostro obiettivo di riduzione del deficit, dovremmo fare quel che i leader di entrambi i partiti hanno già suggerito e risparmiare centinaia di miliardi di dollari spazzando via esenzioni fiscali e crediti di imposta per i più benestanti e meglio inseriti fra gli americani. Dopotutto, perché mai dovremmo scegliere di tagliare brutalmente l’educazione o Medicare solo per proteggere qualche interesse particolare? È giusto tutto questo? Come potrebbe promuovere la crescita?». Sorvolando sul fatto che, nell’ultimo accordo sul “fiscal cliff”, i Democratici sono riusciti a ritagliarsi una serie di eccezioni e benefici fiscali a favore delle loro lobby più affezionate (compresa quella dei produttori, miliardari, di Hollywood), Marco Rubio risponde a Obama dicendogli che sta mancando completamente il bersaglio. Invece di punire i ricchi… «Gli aumenti delle tasse e della spesa pubblica che lei propone, colpiranno soprattutto i ceti medi. Costeranno loro la perdita degli aumenti salariali. Costeranno loro la perdita dei benefit. In molti casi, costeranno loro la perdita del posto di lavoro. Ci andranno di mezzo gli anziani, perché non ci saranno più le risorse necessarie neppure per salvare Medicare e la previdenza sociale». Cresciuto in quartieri poveri, nato da immigrati cubani, Marco Rubio precisa di vivere tuttora in mezzo alle persone meno abbienti. E sfida il presidente in questi termini: «Io mi oppongo al suo piano, signor presidente, non perché voglia proteggere i ricchi. Io mi oppongo perché voglio salvare i miei vicini di casa».


di Stefano Magni