Benzina? Ormai le auto vanno a tasse

domenica 3 febbraio 2013


Pochi giorni dopo le elezioni presidenziali americane, in viaggio da Washington a Miami, vedevo il prezzo della benzina scendere drasticamente. Dai circa 3,5 dollari al gallone (quasi 4 litri) degli Stati del Nord, si arrivava ai 2,91 del Sud Carolina. La cosa non mi metteva di buon umore, anzi. Il prezzo della benzina tornato ad essere accettabile è stato, infatti, un segnale chiaro del miglioramento dell’economia e ha contribuito al nuovo assegno in bianco che gli americani hanno (malauguratamente) firmato al presidente più di sinistra della loro storia. 

Quando racconto ai miei amici americani, che non conoscono l’Europa, che qui la benzina costa 10 dollari al gallone, non pochi rimangono perplessi e si chiedono come sia possibile una cosa del genere. La risposta è semplice. L’Europa muore di tasse e non protesta mai. Anzi, gli europei muoiono di fisco proprio perché non protestano mai. 

Quando si sviluppa un simulacro di dibattito sul prezzo della benzina questo diventa subito patentemente ridicolo, volto alla ricerca di un  colpevole che sia altro dallo Stato. Ogni qualvolta si parla di questi temi i giornalisti tendono a interpellare commentatori e associazioni portatori di una cultura nemica del mercato e avversa all’universo delle imprese.

Chi è il colpevole dell’aumento del prezzo dei combustibili (le cui oscillazioni certo dipendono dalle quotazioni del petrolio)? Chiedetelo a chi volete e sentirete sempre la stessa solfa: le compagnie petrolifere e, quindi, i “malvagi” capitalisti che mirano - dio ce ne liberi! - al profitto. Come durante la Rivoluzione francese i giacobini riuscivano a convincere il popolo che il pane mancava a causa degli accaparratori, così in Italia i corifei dello Stato hanno pronti i nomi e i cognomi dei colpevoli: i petrolieri. È a loro che dobbiamo l’alleggerimento oltre ogni ragionevole misura del nostro portafoglio.

Eppure in America le società petrolifere offrono la benzina a un terzo che in Italia. E ancora: siamo sicuri che abbiamo ragione i vari populisti da strapazzo che ogni giorno ci ripetono il miglior modo per evitare il salasso che subiamo al distributore della benzina consista nell’avere interventi governativi che blocchino i prezzi e penalizzino le imprese?

In realtà, la storia economica e l’analisi teorica ci insegnano che quanti vogliano avere prodotti a buon mercato devono favorire lo sviluppo di un mercato aperto e concorrenziale, e non già un’economia pianificata e diretta. Bisogna che la libertà di concorrere induca i vari soggetti a competere tra di loro e questo al fine di servire nel migliore dei modi i consumatori. Ci sono ostacoli all’ingresso nel mercato della distribuzione degli idrocarburi? Li si elimini subito. Ma ovviamente la questione fondamentale è un’altra, come tutti sappiamo assai bene.

L’iniziativa più urgente consiste infatti nell’abbassare l’imposizione fiscale, al fine di favorire le famiglie e le imprese. Difficilmente potremo avere un futuro e potremo essere competitivi se dobbiamo continuare a sostenere una fiscalità così rapace, della quale il prezzo della benzina è il simbolo più manifesto. 

Quando facciamo il pieno abbiamo l’impressione di comprare il carburante che ci serve per i nostri spostamenti. Non è davvero così. In quel momento, stiamo pagando imposte, dato che fra accise e Iva, oltre il sessanta percento va al Tesoro e serve a finanziare una spesa pubblica fuori controllo e devastante.

Purtroppo di questo dato non si parla quasi mai, mentre ogni giorno sul banco degli imputati compaiono le compagnie petrolifere: senza tenere presente che anche la quota che non va all’erario è quasi per la metà assorbita da costi operativi (la manutenzione, il trasporto, i profitti dei gestori delle pompe di benzina, ecc.). Alla fine, le tanto vituperate multinazionali del petrolio ricevono meno di un quinto dei soldi che sborsiamo per fare un pieno. E perché allora sono tanto criticate? Perché sono imprese private la cui demonizzazione serve a occultare quel disastroso Stato che è la vera causa del salasso che dobbiamo subire. “Dagli addosso al privato” è ormai il passatempo preferito dai nostri concittadini, ben incoraggiato dai nostri governanti i quali a loro volta ottengono carta bianca per tassare, regolamentare, vessare. E il tutto proprio in nome dei consumatori/cittadini.

Nel prezzo astronomico della benzina vi sono le 1,9 lire per la guerra in Abissinia del 1935, le 10 lire per il disastro del Vajont, le altre 10 per l’alluvione fiorentina del 1966, le 99 lire destinate ai terremotati del Belice del 1968, ecc. ecc. Quelle tragedie servirono ad alzare le imposte che una volta introdotte non sono state mai più eliminate. È la memoria “liquida” del paese delle tasse: ma come fossero tossine, la benzina non si depura mai di una gabella, non perde un balzello. 

Insomma, per poter fare un pieno “all’americana” bisognerebbe innanzitutto liberare la propria mente dai troppi inganni della propaganda statalista e iniziare una battaglia volta ad eliminare tutte le voci che alimentano una spesa pubblica fuori controllo. Il costo della nostra benzina all’amatriciana non è imputabile ad altri che a noi stessi e alla nostra voglia di quieto vivere. Molti ricordano la frase di Thomas Jefferson, “il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza”, ma spesso non riflettono sul fatto che questo vale per le piccole e grandi questioni. 

Se non troveremo il coraggio di tagliare le uscite e colpire le sacche di parassitismo, non potremo mai intervenire su queste imposte come sulle altre. E a quel punto la nostra società sarà sempre più simile a un’automobile ferma, senza benzina, in una strada vuota e desolata di un Terzo Mondo indifferenziato. Ma state pur certi che ce la prenderemo sempre con i petrolieri, gli speculatori e anche con gli evasori fiscali (se tutti pagassimo le tasse, tutti ne pagheremmo meno. O no?).


di Marco Bassani