Raid israeliano che la Siria voleva

venerdì 1 febbraio 2013


Un raid aereo israeliano in Siria. Sarà vero? Come sempre, quando l’aviazione con la stella di Davide si muove, nessuno la vede, ma tutti l’hanno vista. Era successo così anche nel settembre del 2007. Gli aerei avevano bombardato un sito nucleare nel Nord della Siria. Nessuno ne ha parlato il giorno dopo. Sono passate almeno 48 ore prima che circolassero voci su quanto era accaduto. Poi è diventata una certezza. Adesso è già storia. Si dà per scontato quell’episodio, mai ammesso, né da Israele, né dalla stessa Siria, lo si definisce il “raid del settembre 2007” e tutti, nel Medio Oriente, sanno a cosa ci si riferisca. Il raid di cui si parla in questi due giorni, con sempre maggior intensità, sarebbe avvenuto nella notte fra martedì e mercoledì scorsi. La notizia è stata data per prima dai libanesi. Già dalla fine della scorsa settimana le autorità di Beirut erano preoccupate dalla crescente presenza, sui loro cieli, degli aerei israeliani. Il martedì hanno contato almeno tre ondate di jet a bassa quota. La notizia, mercoledì sera, è stata rilanciata ufficialmente da Damasco. Il regime di Bashar al Assad denuncia il bombardamento di un centro di ricerca militare “per l’autodifesa” (armi chimiche?) a Jamraya, ad Ovest della capitale, non lontano dal confine con il Libano. Sui media internazionali, però, stava già circolando un’altra versione dei fatti: il raid ci sarebbe stato, ma contro un convoglio di camion, che trasportava missili agli Hezbollah.

Ufficiali statunitensi (rimasti anonimi) hanno dichiarato al New York Times che l’attacco è avvenuto realmente e che l’obiettivo fosse un convoglio di camion carichi di missili anti-aerei Sa-17 siriani diretti alle milizie Hezbollah. Le stesse fonti rivelano che Israele abbia avvertito Washington dell’attacco imminente poco prima che i jet decollassero. I ribelli siriani confermano questa tesi. Un convoglio di camion stava percorrendo una stradina di montagna, parallela all’autostrada Damasco-Beirut. Nei pressi del confine siro-libanese i camion sono stati centrati dai missili aria-terra. Non è dato sapere cosa quei camion stessero trasportando. Nessuna fonte riporta la presenza di armi chimiche. La tesi più diffusa parla degli Sa-17. Ma, secondo altre fonti, il carico era costituito da Scud-D, dunque missili tattici terra-terra, sempre di fabbricazione russa. E infine, una terza ipotesi, sostiene che si trattasse di missili anti-nave. In tutti e tre i casi, la reazione israeliana sarebbe stata pienamente prevedibile. Da quando si è conclusa la Seconda Guerra Libanese (2006), i ministri della Difesa di Gerusalemme che si sono succeduti avevano dichiarato che l’avrebbero fatto: se la Siria avesse fornito a Hezbollah armi in grado di mutare il rapporto di forze, dunque armi chimiche, missili terra-terra, anti-nave o anti-aerei, Israele avrebbe attaccato preventivamente.

Oltre che prevedibile, l’azione era anche prevista. C’erano sintomi inequivocabili di un aumento dell’attività militari ai confini meridionali del Libano. Da sabato in poi, l’esercito israeliano ha iniziato a dispiegare batterie di Iron Dome (missili anti-razzo e anti-missile a corto raggio) attorno a Haifa, pronte a intervenire, a protezione della popolazione, in caso di lanci di katyusha da parte degli Hezbollah. Gli aerei, appunto, hanno compiuto una serie di voli di ricognizione sul Paese dei Cedri, per monitorare da vicino l’attività del nemico. Insomma, era noto da giorni che qualcosa fosse nell’aria. Martedì, dunque il giorno stesso del presunto attacco, il capo di stato maggiore dell’aviazione israeliana, Amir Eshel, aveva parlato, in una conferenza stampa, di una “campagna pre-bellica”: «Questa campagna è già in corso, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per 365 giorni all’anno. Stiamo agendo per ridurre le minacce più imminenti e creare le condizioni migliori per vincere una guerra, nel caso questa dovesse scoppiare». Il raid, se c’è stato, sarebbe stato, dunque, andrebbe visto come un attacco di opportunità contro una minaccia che si stava delineando all’orizzonte. 

Resta il fatto che il raid israeliano è tuttora una notizia non confermata. Ma la catena di reazioni pubbliche è impressionante e rapida. I primi a reagire contro lo Stato ebraico, subito dopo la Siria, sono stati i russi, i produttori delle armi che potrebbero essere state distrutte. Il Cremlino ha dichiarato che il raid israeliano è una grave violazione della sovranità della Siria. L’Iran minaccia la guerra. Il regime di Teheran considera un attacco alla Siria come un’offesa al suo territorio. Alì Akbar Velayati, consigliere dell’ayatollah Khamenei, aveva ribadito questo principio anche la settimana scorsa, affermando che il regime di Damasco è «una componente fondamentale del fronte della resistenza». Ieri, il Ministero degli Esteri di Teheran ha rilasciato un proclama bellicoso in cui si afferma che il raid aereo al confine siro-libanese provocherà «serie conseguenze per Tel Aviv». La minaccia più grave arriva dall’ambasciatore siriano in Libano, Alì Abdul Karim Alì: «La Siria si riserva il diritto di intraprendere azioni di sorpresa per rispondere all’aggressione degli aerei israeliani». I siriani potrebbero attaccare sul Golan, anche senza preavviso: i depositi di munizioni e le batterie di missili e di artiglieria sono già in posizione, in gran numero.

Certo è che, dal 1973, Damasco non ha mai più trovato il coraggio per attaccare direttamente il suo vicino occidentale. Merito della paura dell’atomica israeliana, prima di tutto. E delle sconfitte subite in tutte le guerre arabo-israeliane. Dal 1973 ad oggi, tutti i nemici arabi di Israele hanno sempre cercato soluzioni alternative: l’appoggio alle guerriglie locali in Libano e Palestina, prima di tutto. O hanno firmato trattati di pace (come l’Egitto e la Giordania) con il vicino ebraico. La via del confronto diretto non è mai più stata tentata. Ma il mondo cambia e da due anni c’è una circostanza inedita: con lo scoppio della guerra civile siriana, il regime di Damasco inizia a pensare di essere sconfitto e di non aver più nulla da perdere, ma anzi tutto da guadagnare, a esportare il conflitto contro Israele. Ci guadagnerebbe in legittimità, agli occhi dei nazionalisti arabi e dei fondamentalisti islamici di tutto il mondo. Recupererebbe un minimo di simpatia nelle opinioni pubbliche occidentali. Si presenterebbe, agli occhi del suo stesso popolo in rivolta (i ribelli più organizzati, non dimentichiamolo, sono integralisti islamici) come difensore della patria araba dal “comune nemico sionista”. Il raid israeliano, insomma, era quel che Damasco andava cercando da mesi.


di Stefano Magni