Obamacare: sanità più cara per tutti

giovedì 10 gennaio 2013


La riforma della sanità di Barack Obama è nota al pubblico col nomignolo di Obamacare. Ma il nome ufficiale della legge è Patient Protection and Affordable Health Care. Tradotto testualmente: Legge per la Protezione del Paziente e per una Sanità Accessibile. Ma siamo sicuri che l’Obamacare renda la sanità più “affordable” per i pazienti americani? Il concetto che sta alla base della riforma è l’obbligo di copertura sanitaria per la maggior parte dei cittadini americani. Da esperienza italiana possiamo dire che l’assicurazione obbligatoria, come la RC Auto, non è affatto più economica. Anzi: l’obbligatorietà del suo acquisto permette agli assicuratori di fare cartello (trovandosi in posizione di oligopolio) e allo stesso tempo li costringe ad affrontare rischi maggiori (dovendo assicurare anche i soggetti più facili all’incidente), e dunque di alzare i premi.

Questo è il rischio che anche gli americani correranno in futuro: un mercato blindato e regolamentato può comportare una lievitazione dei costi per l’utente. Ma già adesso, negli Usa, si sta registrando un incremento dei prezzi in campo sanitario. Lo ha riscontrato anche un quotidiano non certo ostile a Obama e alla sua riforma: il New York Times. Il giornale newyorkese ha registrato un aumento del 20% sui premi nelle assicurazioni sanitarie in Ohio e in Florida. In California si riscontra un aumento analogo nei premi per gli individui che non sono assicurati dal loro datore di lavoro e per chi è impiegato da piccole aziende. Entro l’anno, stando alle previsioni di Aetna (una compagnia fornitrice di prodotti assicurativi sanitari), queste categorie potrebbero subire incrementi che vanno dal 25 al 50% entro l’anno prossimo.

È interessante vedere come non tutte le analisi siano concordi nel dare una spiegazione a questo vertiginoso aumento dei prezzi alla vigilia dell’entrata in vigore di una riforma della sanità che dovrebbe essere “affordable”. Secondo il New York Times, la nuova legge non è abbastanza rigorosa nel controllo dei prezzi. Dunque Obama non ha colpa, se non quella di essere stato troppo moderato. Secondo la rivista libertaria Reason, però, l’Obamacare stessa è parzialmente responsabile di questa lievitazione. Infatti, constata il giornalista Peter Suderman, nei singoli stati già esistono leggi che impongono il controllo dei premi assicurativi. In California, queste sono effettivamente più lasche. Ma in Ohio e in Florida no: ad ogni cambiamento delle tariffe, le compagnie devono sottoporre il loro piano all’attenzione governo locale, che ha la facoltà di approvare, bocciare o modificare la proposta. Quindi, dove il controllo dei premi esiste già, i costi per i pazienti aumentano ugualmente. E con percentuali a doppia cifra.

La società di consulenza Aon, citata da Reason, stima che la stessa approvazione della riforma, con la sua imposizione dell’obbligo assicurativo per quasi tutti gli americani, provochi una lievitazione dei premi di almeno il 5%. Ma un incremento ancora maggiore sarebbe causato da altri aspetti della riforma. Ad esempio il provvedimento MLR, già in vigore dall’inizio del 2012, che obbliga le compagnie assicurative a investire l’80% dei loro introiti in spese mediche e di destinare appena il 20% ai costi amministrativi, di marketing e altre spese non mediche. Chi non rispetta il provvedimento, è costretto a pagare un rimborso ai clienti. In tutto il 2012, i rimborsi ammontano a 1 miliardo di dollari. Questa parte della riforma, salutata dai progressisti come un successo nella lotta contro la “sanità speculativa”, in realtà si ritorce sugli assicurati. Perché, perché per coprirsi dal rischio dei rimborsi e per foraggiare le spese (spesso necessarie) non mediche, le compagnie assicurative sono spinte ad aumentare i premi. Probabilmente queste non saranno le uniche, né le ultime brutte sorprese per chi ha votato Obama credendo di avere una sanità gratuita o almeno più economica. È il problema di tutte le leggi che mirano a irreggimentare il libero mercato: è il mercato, alla fine, che si vendica.


di Stefano Magni