Hagel, l’“utile idiota” voluto da Obama

mercoledì 9 gennaio 2013


Barack Obama ha nominato un Repubblicano al dipartimento della Difesa. Come si spiega questa scelta? Per i Democratici è un atto di politica bipartisan. Ma Chuck Hagel, il nominato, non è un Repubblicano “standard”. La visione del mondo del senatore del Nebraska, veterano (decorato) del Vietnam, è l’opposto del neoconservatorismo e della piattaforma politica del Gop. È infatti un isolazionista che vuole tagliare le spese della difesa, detesta la “lobby israeliana” ed è contrario ad ogni atto di forza contro l’Iran. Dal punto di vista della politica estera è amato dal think tank libertario (dunque: non interventista) Cato Institute proprio perché è “più realista del re” (o meglio, in questo caso: più democratico dei Democratici) ogni volta che si debba parlare del ridimensionamento del ruolo americano nel mondo. Per lo stesso motivo è detestato dai Repubblicani che non intendono affatto abbandonare Israele e vogliono rilanciare il ruolo militare degli Stati Uniti nel mondo. I libertari non negano le evidenti posizioni del senatore del Nebraska contro lo Stato ebraico.

Ma le giustificano, sostenendo che il suo sia un pensiero non-interventista (mai più soldi e aiuti a favore degli israeliani) e non anti-sionista. La nomina di Hagel fa e farà discutere ancora a lungo. A capofila dei critici si è posto il Weekly Standard di Kristol, voce dei neoconservatori. E il bersaglio è relativamente facile da colpire. La storia delle dichiarazioni di Hagel parla da sola. Come quando, all’uscita del controverso libro “The Israel Lobby”, commentò: «La lobby israeliana intimidisce molti di noi. Ma io sono un senatore degli Stati Uniti, non di Israele». Hagel è stato contestato anche per una dichiarazione omofobica, quando, nel 1998, contestò la nomina di un ambasciatore «apertamente e aggressivamente gay». Su questo punto, però, il senatore del Nebraska, nonché futuro ministro della Difesa, ha chiesto pubblicamente scusa. Sulle sue dichiarazioni anti-sioniste, invece, non ha mai fatto marcia indietro. Non lo ritiene necessario. Non si è mai considerato un anti-sionista. Difendendo la sua scelta, la Casa Bianca fa rilevare che Hagel abbia votato più volte a favore dell’assistenza militare allo Stato ebraico e di aver sostenuto le sanzioni internazionali contro l’Iran.

Tutto vero. Ma sono vere anche le sue dichiarazioni. Proprio a proposito delle misure restrittive contro il regime di Teheran ha dichiarato che: «Isolare una nazione è rischioso. La spingi verso l’involuzione, rendi i suoi cittadini più suscettibili alla demagogia di chi fa leva sulla loro paura». Sul nucleare iraniano, oltre ad opporsi a qualsivoglia idea di intervento militare, Hagel ha lasciato intendere di poter accettare anche un regime di Teheran armato di atomica: «Questi governi (gli Stati canaglia, ndr), per quanto possano essere a noi ostili, capiscono abbastanza bene quali siano gli orribili risultati di una guerra nucleare e le conseguenze che potrebbero subire». Questo significa che crede ancora alla deterrenza: tranquilli, anche se l’Iran dovesse avere l’atomica non la userebbe, perché avrebbe paura delle conseguenze di una guerra nucleare. Speriamo solo, a questo punto, che la classe dirigente islamista di Teheran sia razionale quanto crede Hagel.

Il Weekly Standard scrive, in uno dei suoi editoriali di oggi, che: «Gli attivisti e gli esponenti della comunità ebraica del Nebraska lo considerano un politico ostile e nessuno – nemmeno gli attivisti del Partito Democratico e i sostenitori di Obama – ha avanzato qualche riserva su queste accuse». Se non lo conoscono loro, che sono nel suo stesso stato… Il Weekly Standard cita un vecchio editoriale dell’Omaha Jewish Press: «Hagel è l’unico uomo in Nebraska che dimostri la sua volontà di non dare nulla alla comunità ebraica e non ascoltare alcuna delle nostre preoccupazioni». Joseph Klein, editorialista del giornale online The Front Page Magazine, scrive: «Hagel è diventato il beniamino della sinistra radicale pacifista, per i suoi attacchi a testa bassa contro la guerra in Iraq del presidente Bush, per la sua volontà di dialogo con l’Iran, con Hezbollah, con Hamas, per la sua critica al vetriolo contro gli interrogatori potenziati. Nel 2008, quando il nome di Hagel era circolato per la prima volta per un posto nell’amministrazione Obama, il direttore esecutivo dell’organizzazione di estrema sinistra CodePink, disse: “Hagel potrebbe essere una buona scelta. Io credo che si sia mostrato per quello che è: un critico attento della terribile politica dell’amministrazione Bush”». E un “grazie, Chuck Hagel!” gli sarebbe giunto anche da Michael Moore, proprio in questi giorni.

Tutti fiori all’occhiello per un ministro di un’amministrazione democratica. Ma un marchio di infamia per i Repubblicani. La scelta del senatore del Nebraska, dunque, non va affatto letta come un atto di bipartisanship. Al contrario: ha un significato politico ben preciso, sia all’interno che all’estero. In politica estera, Obama ha voluto ribadire quel che finora ha lasciato sottinteso: prendere le distanze da Israele e dialogare con l’Islam radicale. Completare, insomma, l’opera iniziata con il suo discorso al Cairo, poi con il suo sostegno alla Primavera Araba e infine con la sua legittimazione al nuovo governo fondamentalista islamico in Egitto. In politica interna, il presidente democratico ha volutamente provocato una spaccatura nel Partito Repubblicano, cooptando e facendo emergere la sua ala più isolazionista (i libertari direbbero: non-interventista) in politica estera. Il presidente, insomma, ha compiuto una mossa molto astuta, cooptando un uomo che Lenin avrebbe definito un “utile idiota”. Ma non è affatto detto che questa scelta sia la migliore per gli interessi degli Stati Uniti.


di Stefano Magni