Antisemitismo anche nel tennis

martedì 8 gennaio 2013


Se il calcio è diventato lo sport “patria” del razzismo dei “buu!” contro i calciatori di colore, il tennis, per colpa dei paesi arabi e di quelli terzo mondisti anti-israeliani come il Venezuela, sta trasformandosi nell’ istituzione sportiva dell’anti semitismo per antonomasia. E dopo il caso di Shahar Peer che non potè giocare il torneo di Dubai del 2009 in quanto giocatrice di nazionalità israeliana (con la conseguenza che Andy Roddick diede forfait e Venus Williams promise che non sarebbe tornata a Dubai se la discriminazione fosse proseguita) adesso è la volta della giovanissima promessa del tennis di Gerusalemme, Valeria Patiuk, 16enne israeliana numero 89 nel ranking Itf, di dover provare l’amarezza della discriminazione religiosa e razzistica. Valeria si trova in Costa Rica, dove ha giocato il grade one della “Copa del Cafè”. Accreditata della settima testa di serie, è giunta nei quarti dove ha ceduto in tre set alla russa Veronika Kudermetova. La prossima settimana sarebbe dovuta andare a Caracas, in Venezuela, per giocare la “Copa Gatorade”, torneo altrettanto importante. Ma il governo venezuelano non le ha concesso il visto d’ingresso.

Motivo? Venezuela e Israele non hanno rapporti diplomatici. E Valeria non potrà giocare un torneo in cui era regolarmente iscritta, e nel quale sarebbe stata testa di serie numero 3. Il Venezuela del presunto moribondo Hugo Chavez in realtà è diventato qualcosa di peggio di un semplice paese terzomondista e anti-israeliano: è infatti ormai l’avamposto della repubblica islamica dell’Iran in Sudamerica, islamizzazione forzata (sciita) compresa ai danni delle tribù amazzoniche. Ad alcune riviste di tennis la giovanissima Valeria, cui tutti auguriamo di diventare la numero uno del mondo per fare dispetto a questa gentaglia, ha raccontato come “da tre mesi” stia vivendo “una piccola odissea”. Insieme al coach Assaf Yamin ha bombardato con decine di mail gli organizzatori e i diplomatici nel tentativo di risolvere il problema. Nei giorni scorsi, si erano persino recati presso l’Ambasciata venezuelana in Costa Rica, presentando una lettera ufficiale della federtennis del Venezuela. Niente da fare, nessuna risposta. «È triste non poter giocare un torneo per ragioni politiche – ha detto la Patiuk – lo sport è in grado di mettere insieme gli atleti senza distinzioni di genere, razza e religione. Sono profondamente delusa di non poter giocare a causa della mia cittadinanza».

Quello dello sport usato come manganello politico e mediatico così come da cassa di risonanza per la violenza della società (vedi hooligans e anti-semiti da stadio) sta diventando così un problema planetario e non solo più italiano. Ma bisogna avere l’onestà intellettuale di dire che tutte queste orrende pulsioni razziste e anti-ebraiche non nascono necessariamente dal basso, dalla cosiddetta “pancia del popolo”, opportunamente irretita dai cattivi maestri della politica demagogica. In verità, almeno con gli stati islamici e con quelli “Chavez style”, può tranquillamente affermarsi che il pessimo esempio viene dall’alto e anche le rispettive istituzioni sportive brillano per opportunismo e servilismo asservito ai rispettivi desiderata governativi.


di Dimitri Buffa