giovedì 3 gennaio 2013
Il 2013 è senza dubbio l’anno delle grandi sfide elettorali, in Europa e non solo. Gli appuntamenti elettorali coinvolgono paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Il 22 gennaio prossimo, in Israele si voterà per il rinnovo della Knesset, la camera unica del Paese. Nel mese di giugno, invece, si assisterà a ben due grandi sfide elettorali: il 14 giugno la Repubblica Islamica dell’Iran dovrà scegliere il successore di Ahmadinejad e il 23 giugno la Tunisia voterà il nuovo presidente (nell’era post Ben Alì) e nominerà un nuovo Parlamento. Ancora incerte le date per il rinnovo dei 128 seggi del Parlamento in Libano e per il rinnovo della Camera in Pakistan. Sfide importanti destinate a modificare il volto politico dei Paesi coinvolti. L’appuntamento più atteso è in Iran, dove 46 milioni di cittadini saranno chiamati alle urne per nominare il nuovo presidente. E già ci si domanda chi sarà il successore di Ahmadinejad. O meglio, il suo degno erede. Un nome prevale su tutti, ossia quello di Esfandiar Rahim Mashaei.
Lo stesso presidente in carica Ahmadinejad lo ha indicato come suo erede diretto, nel corso di un’intervista andata in onda lo scorso 4 settembre sulla TV di Stato. Secondo la legge iraniana, Ahmadinejad non può correre per un terzo mandato, perciò, per evitare vuoti politici nella corsa elettorale, il presidente in scadenza di mandato non ha perso tempo indicando il suo possibile successore in Mashaei. Braccio destro del presidente e figura controversa del panorama politico iraniano; inviso alla Guida Suprema Alì Khamenei per le sue posizioni considerate contrarie ai principi della Rivoluzione Islamica e della teocrazia, Esfandiar Rahimi Mashaei sembra incarnare piuttosto bene il ruolo di successore del suo maestro.
In un discorso tenuto a Kermanshah lo scorso novembre, l’ex vicepresidente della Repubblica Islamica dell’Iran ha provocato subbuglio tra i media iraniani vicini al regime, elogiando ampiamente il presidente in carica e la sua attività politica svolta negli otto anni del mandato, definendo Ahmadinejad alla stregua di un “grande statista che ha riscritto la storia contemporanea dell’Iran”, senza alcun accenno all’Ayatollah Ali Khamenei. Nonostante le continue stoccate all’ala conservatrice vicina alla Guida Suprema Khamenei, per il momento la candidatura di Esfandiar Rahimi Mashaei non ha nulla di ufficiale. Sono invece ufficiali, almeno dal 2 dicembre scorso, le nuove linee guida che animeranno le elezioni del prossimo 14 giugno. Approvate dal parlamento iraniano (majlis), esse rendono praticamente impossibile concorrere alle elezioni senza l’appoggio della dirigenza politico – religiosa. Tutti i candidati dovranno ricevere l’approvazione di almeno 100 su 290 membri del Parlamento e di 25 sugli 86 componenti dell’Assemblea degli Esperti, formata essenzialmente da giuristi e accademici islamici.
Disposizioni che si sommano al potere di veto del Consiglio dei Guardiani. La legge non è ancora entrata in vigore, ma non si esclude che essa possa essere votata in tempo utile per elezioni. Il decreto pertanto tende ad escludere alcune formazioni politiche e altrettante personalità politiche sgradite alle autorità. Possono candidarsi solo coloro che avranno un età compresa tra i 45 e i 75 anni. E ciò escluderebbe di fatto la candidatura del settantottenne Akhbar Hashemi Rafsanjani, sfidante ritenuto pericoloso tanto dagli ultraconservatori vicini a Mohammed Mezbah Yazdi, quanto dai nazionalisti radicali vicini all’attuale presidente. Ma se Rafsanjani rischia di essere tagliato fuori dalla corsa presidenziale, altre personalità stanno acquisendo gradualmente visibilità. Essi provengono essenzialmente dalle fila del Fronte Unito dei Principalisti, vicini alla Guida Suprema Alì Khamenei.
Tra loro si distinguono Ali Larijani (presidente del Parlamento iraniano), Mohsen Rezai, per più di un decennio a capo della Guardia Rivoluzionaria. Tuttavia, i nomi maggiormente accreditati in seno ai due tronconi conservatori sembrano essere i seguenti: Mohammed-Bagher Qalibaf, attuale sindaco di Tehran e Saeed Jalili, capo negoziatore per il programma nucleare iraniano. Nel lungo elenco di possibili candidati non c’è spazio alcuno per i riformisti. L’unico probabile nome che al momento circola è quello di Mohammed Khatamì, ex presidente della Repubblica durante la breve parabola riformista vissuta in Iran dal 1997 al 2005. Al momento non è stata resa pubblica alcuna lista ufficiale dei futuri candidati alle presidenziali del prossimo 14 giugno. Le candidature dovranno essere presentate dal 6 al 10 maggio e dovranno passare al vaglio del Consiglio dei Guardiani . La campagna elettorale durerà un mese scarso, e i vertici dovranno pertanto preoccuparsi di limitare i danni.
L’opposizione s’interroga sul dovere di partecipare o sulla volontà di boicottare la prossima tornata elettorale; le autorità iraniane già accusano l’Occidente di voler “influenzare le elezioni del 14 giugno, incrementando le pressioni sul Paese”, almeno stando alle dichiarazioni del Ministro degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast. Ma la minaccia maggiore e il pericolo di un possibile sovvertimento potrebbe venire proprio dall’interno, ossia dalle due anime della politica iraniana: dal clero conservatore vicino alla Guida Suprema, Alì Khamenei, e dai i nazionalisti ultraradicali legati a doppio filo al presidente uscente. Ma tra i due litiganti vi è sempre un terzo che esce rafforzato. In questo caso, il Terzo è l’Ayatollah Alì Khamenei, da mesi impegnato ad espandere il suo controllo sul sistema politica prima delle elezioni del giugno prossimo. Nonostante i pronostici, la corsa alle presidenziali si animerà nell’ultimo mese prima della chiamata alle urne, e si sa la storia politica recente iraniana non è immune da sorprese dell’ultim’ora.
di Pamela Schirru