La Primavera Egiziana ignorata da Obama

venerdì 7 dicembre 2012


Mercoledì sera c’è stata una vera e propria battaglia attorno al palazzo presidenziale egiziano. Un sit-in di democratici è stato attaccato dai Fratelli Musulmani e disperso. Subito dopo, migliaia di attivisti, soprattutto giovani, sono tornati in campo. E allora sono volate pietre e molotov. Il bilancio è stato di 5 morti e più di 600 feriti. Le insurrezioni sono dilagate anche oltre la capitale egiziana: le sedi del partito Libertà e Giustizia (espressione dei Fratelli Musulmani) sono state attaccate anche a Ismailia e Suez. Per evitare ulteriori disordini, l’esercito è entrato in scena, schierando una piccola forza dotata di carri armati e mezzi blindati. La mattinata di ieri è stata caratterizzata da appelli alla calma e al dialogo, provenienti, prima di tutto dall’Università di Al Azhar, punto di riferimento dell’Islam sunnita. Al Azhar ha anche chiesto esplicitamente al presidente Mohammed Morsi di sospendere il suo decreto, con cui accentra nelle sue mani praticamente tutti i poteri fino alla fine della fase costituente. All’opposizione, però, non basta. Le condizioni per il dialogo sono chiare: revocare il decreto presidenziale e rimandare il referendum sulla nuova Costituzione, previsto per il 15 dicembre.

 Si tratta di una nuova Primavera Egiziana? Sì, ma in questo caso non è semplicemente una “scossa di assestamento”, né una lite fra i vincitori della rivoluzione contro Mubarak per il controllo del potere. Sono in gioco principi fondamentali: sono i laici, i cristiani e tutti coloro che hanno creduto in una svolta democratica che si stanno sollevando contro il potere conquistato (con la piazza prima e alle urne poi) i Fratelli Musulmani. La protesta è iniziata subito dopo la promulgazione del decreto presidenziale che dà pieni poteri al presidente Morsi, accusato dai democratici di essere “un nuovo Mubarak”. Poi è sfociata nella stessa Assemblea Costituente, dove i parlamentari laici, cristiani e musulmani moderati hanno boicottato il voto. Nonostante tutto, l’Assemblea e il presidente hanno fatto approvato la nuova bozza costituzionale, che renderebbe l’Egitto un vero e proprio regime islamico, basato sui principi e sulle regole della legge coranica, con meno tutele per donne e minoranze e nessuna garanzia solida per la libertà di espressione. Prima della sua definitiva approvazione, si dovrà passare attraverso il voto, con un referendum previsto per il prossimo 15 dicembre. Quindi i tempi sono brevissimi per una posta in gioco estremamente alta. I Fratelli Musulmani sono convinti di vincerla, questa consultazione popolare. In appena due settimane (ormai 10 giorni) nessuna forza di opposizione, né democratica, né cristiana, né musulmana moderata, né nostalgica di Mubarak, è in grado di mobilitare l’opinione pubblica, rendendola consapevole dei rischi che corre il Paese. Gli unici organizzati sul territorio e in grado di condurre una campagna propagandistica sono solo i Fratelli Musulmani, assecondati, in questo caso, anche dai più radicali salafiti. Le moschee sono il loro principale veicolo ideologico. La loro base è costituita da una maggioranza di egiziani che vede nelle organizzazioni islamiche e nelle loro opere caritatevoli, le uniche fonti di sopravvivenza. I fondamentalisti si fanno forza anche dell’ignoranza: il 40% di egiziani è analfabeta e tende a fidarsi ciecamente del parere dei leader religiosi. Se è Dio a volere il loro potere e la loro legge è quella del Corano, non c’è dibattito che tenga.

Benché abbiano il controllo del potere legislativo, i Fratelli Musulmani non si sono ancora messi alla prova del governo. Anzi, nel corso della lunga fase di transizione, erano i vertici militari a mantenere ancora le redini del Paese. Quindi il partito salafita e Giustizia e Libertà hanno avuto modo, per più di un anno, di presentarsi come la vera (praticamente l’unica) forza di opposizione, hanno potuto ergersi in difesa dei “valori della rivoluzione”. Quando la magistratura e l’esercito, la primavera scorsa, hanno tentato di limitare arbitrariamente i poteri del presidente, Morsi stesso ha potuto calarsi nei panni del perseguitato. Il risultato è che, alla fine del 2012, quasi due anni dopo la caduta di Mubarak, Morsi è al potere, ma può ancora vantare un curriculum di “verginità politica”.

Con queste premesse, un referendum il 15 dicembre, darebbe quasi certamente la vittoria ai Fratelli Musulmani e alla loro nuova costituzione islamica. Restano poche forze che si contrappongono a questo destino, apparentemente ineluttabile. La magistratura è divisa. Benché sia stata direttamente colpita dal decreto presidenziale (che rende non impugnabile, nemmeno da parte dei magistrati, ogni atto del potere esecutivo), solo una parte dei giudici ha annunciato il boicottaggio del prossimo referendum. I giornalisti sono divisi, benché la nuova bozza della legge suprema limiti la loro libertà. Dall’inizio della nuova ondata di disordini ad oggi, i media egiziani non sono riusciti a coordinare una protesta sistematica. L’esercito, proteggendo il palazzo presidenziale, dimostra di non avere alcuna intenzione di fermare l’islamizzazione dell’Egitto. Finora, all’orizzonte, non c’è alcun “Ataturk” locale che faccia da barriera contro una maggioranza religiosa. L’esercito era stato determinante per il rovesciamento della dittatura di Mubarak. Ma allora, alle spalle dei militari, c’era una precisa presa di posizione dell’amministrazione Obama. Da Washington era arrivato un avvertimento chiaro e tondo: o scaricate il dittatore, o tagliamo gli aiuti militari. E i generali non hanno avuto dubbi su cosa scegliere. Adesso, al contrario, la stessa amministrazione Obama si distingue per il suo silenzio. Hillary Clinton, mercoledì, si è limitata a invitare le parti al dialogo. La primavera scorsa, invece, la stessa Clinton aveva duramente protestato contro il mezzo golpe bianco della magistratura e dell’esercito, ai danni del presidente Morsi. Non si tratta solo di distrazione. A questo punto è una scelta di campo. Vuoi perché li credono pragmatici, vuoi perché li considerano (nel bene o nel male) “inarrestabili”, i Democratici americani hanno scelto di sostenere i Fratelli Musulmani. I democratici egiziani, i laici, le minoranze cristiane, i musulmani che credono sinceramente nella libertà, possono anche protestare e farsi uccidere. L’America, terra della libertà, difficilmente starà dalla loro parte.


di Stefano Magni