Israele condannato... e parliamo solo di case

martedì 4 dicembre 2012


Una singola dichiarazione del governo israeliano sta provocando un’improvvisa escalation di reazioni diplomatiche. «(La decisione dell’esecutivo Netanyahu, ndr) rappresenterebbe un colpo fatale alle rimanti chance di una soluzione di due Stati per due popoli», stando alle parole del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Ma in cosa consiste questa decisione, capace di ammazzare sul colpo un processo di pace? Esaminare il terreno per la costruzione di 3000 case in Cisgiordania. Sì, stiamo parlando di case, abitazioni civili, più le loro necessarie infrastrutture di luce, gas, telefono, strade e fogne. Non stiamo parlando di razzi lanciati, nemmeno di missili puntati contro un nemico, o di un’invasione del suo territorio, né tantomeno di un genocidio o di una pulizia etnica. Ma di: nuove case.

Eppure la reazione internazionale è pari a quella che seguirebbe lo scoppio di un conflitto. Il ministro degli Esteri britannico ha minacciato l’ambasciatore israeliano di “dure reazioni” nel caso il piano di costruzioni dovesse andare avanti. «Deploriamo la decisione del governo israeliano – si legge nella nota del Foreign Office di Londra – di costruire 3000 nuove case e di sbloccare il piano di sviluppo della zona E1. Questo progetto ostacola la soluzione che mira alla costituzione di due Stati». A Parigi l’ambasciatore israeliano è stato convocato al Ministero degli Esteri per subire una lavata di capo da un alto funzionario. Sia Parigi che Londra hanno avvertito Gerusalemme che, se il piano dovesse procedere, ritirerebbero i loro ambasciatori. E stiamo parlando di un piano di costruzione di nuove case, è bene ricordarlo.

Francia e Gran Bretagna sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Così come lo è la Russia, che sul sito del Ministero degli Esteri ha pubblicato una nota ufficiale contraria al piano israeliano. Che, come recita la nota stessa, potrebbe avere «un impatto molto dannoso per la pace». La costruzione di 3000 nuove case, dunque, suscita grandi preoccupazioni a Mosca. Gli stessi uomini che difendono il dittatore Bashar al Assad, anche a fronte di un massacro che ammonta ormai a più di 30mila morti (fatti a poche decine di km da Gerusalemme), sono preoccupati per il fatto che nuovi villaggi abitati da ebrei possano danneggiare la quiete di quella regione.

Stevie Wonder, nel suo piccolo, per protesta contro la decisione di Netanyahu, ha annullato il suo prossimo concerto in Israele. «Data l’attuale delicata situazione nel Medio Oriente e con un cuore che ha sempre pulsato per l’unità del mondo, io non suonerò», recita il suo laconico comunicato.

È la conferma che il doppiopesismo, che ha sempre caratterizzato la narrativa della guerra mediorientale, ormai caratterizza anche la diplomazia ufficiale delle democrazie occidentali. E si perde completamente il senso delle misure. Qualche esempio? Si attribuisce ad una passeggiata di Sharon (per di più, autorizzata dalle autorità religiose musulmane) nella spianata delle Moschee di Gerusalemme l’inizio di una guerriglia e di un’intera stagione del terrorismo, la II Intifadah. Durata cinque anni. Quando l’esercito israeliano ha costruito una barriera per impedire ai terroristi di entrare nelle città israeliane e farsi esplodere in bar, ristoranti, discoteche, autobus, televisioni e delegazioni politiche sono accorse sul terreno con i righelli per misurare e condannare ogni singola, centimetrica, violazione del futuro territorio palestinese, ogni strada bloccata, ogni villaggio tagliato fuori, ogni singolo uliveto attraversato dal muro, ogni ulivo abbattuto. Ciascuno di questi dettagli si è trasformato in un caso mondiale. Contrariamente alle migliaia di vittime israeliane del terrorismo che, per i più, restano anonime.

Il furore suscitato da un annuncio israeliano sulla costruzione di nuovi insediamenti, muove dallo stesso doppiopesismo. Israele ha appena subito una pioggia di razzi da Gaza, sul proprio territorio. Ma in quel caso sono state più numerose, in sede Onu, le proteste contro la reazione militare israeliana che non contro l’attacco che stava subendo. Una settimana dopo la tregua, tuttora fragile, l’Onu è stata prontissima a votare una promozione di status dell’Autorità Nazionale Palestinese, senza garanzie per la sicurezza di Israele (né sul tracciato stesso dei confini stessi), senza tener conto del processo di pace iniziato ad Oslo e boicottato, in tutti questi anni, dai palestinesi. L’annuncio del governo Netanyahu è una risposta a questa mancanza di garanzie sul futuro dei confini e della loro sicurezza. Costruendo nella zona E1, a Est di Gerusalemme, il governo Netanyahu lancia due segnali ben precisi: garantire l’unità della capitale di Israele (che i palestinesi vorrebbero dividere, per trasformare la zona Est nella loro capitale) e assicurare i 500mila ebrei, che già vivono in Cisgiordania, che non verranno abbandonati nell’eventuale nuovo Stato palestinese.

Tra l’altro quello del governo Netanyahu sulle nuove case è solo l’annuncio di un progetto: i cantieri non sono ancora aperti. I lavori inizieranno solo se i palestinesi non torneranno seriamente al tavolo negoziale.

Ma, anche nel caso i cantieri si dovessero aprire realmente e le 3000 case dovessero essere completate, esse non danneggerebbero neppure i palestinesi. Non minerebbero la continuità territoriale del loro nuovo Stato, nemmeno in caso di partizione di Gerusalemme: i quartieri orientali della città potrebbero comunque essere collegati al resto della Palestina con almeno due corridoi, a Sud e a Nord dei nuovi insediamenti. Solo calandoci in un’ottica nazionalista araba potremmo vedere questa mossa israeliana come un affronto: un ostacolo alla nascita di una nazione palestinese senza enclave ebraiche, senza case ebraiche… senza ebrei. Più o meno consapevolmente, il resto del mondo, da Ban Ki-moon a Stevie Wonder, sposa questo progetto puramente razzista.

Onu, Russia, Gran Bretagna e Francia (solo per nominare i più autorevoli) protestano, ora, contro Israele come se avesse commesso un crimine di guerra inaccettabile. E dimenticano che si sta parlando solo di case.


di Stefano Magni