Per Putin, la guerra fredda non è finita

mercoledì 28 novembre 2012


La comunità delle democrazie occidentali deve e dovrà sempre da guardarsi le spalle dalla Russia. Su qualsiasi iniziativa internazionale, che siano le sanzioni alla Siria, o la politica contro il programma nucleare iraniano, o anche lo schieramento dello scudo anti-missile europeo (che è una questione solo interna alla Nato), il Cremlino si mette di traverso.

Leggendo le notizie dalla Russia, troviamo sempre, da anni, un mix di repressione interna e di grandeur militare per proiettare un’immagine di potenza all’esterno. Repressione: ieri il leader dell’opposizione di estrema sinistra Sergej Udaltsov, è stato avvertito dalle autorità inquirenti che il suo movimento (il Fronte di Sinistra) potrebbe essere messo al bando per fondi occulti. Perché le fonti di finanziamento non sarebbero specificate dal suo statuto. In un periodo in cui anche le Ong che ricevono soldi dall’estero sono equiparate ad “agenti stranieri”, è chiaro dove vada a parare l’establishment: dimostrare che il movimento di opposizione (che pure è di matrice comunista, non certo filo-americano) sia un agente manovrato dalle potenze occidentali. Ed è sempre stata questa l’accusa rivolta dalle autorità contro tutti i movimenti anti-Cremlino. Grandeur: sempre ieri, il nuovo sottomarino nucleare lanciamissili Severodvinsk ha testato con successo un nuovo missile da crociera supersonico. Il Severodvinsk, entrato in linea lo scorso settembre ed è costato l’equivalente di un miliardo e mezzo di euro. Per i bilanci della difesa, la borsa è sempre aperta. Chi, come l’ex ministro Alexei Kudrin, si lamenta della spesa eccessiva (e potenzialmente pericolosa per la tenuta dei conti), deve lasciare il governo.

Non è solo un luogo comune trovare affinità fra l’Unione Sovietica di ieri e la Russia di oggi. C’è un nesso preciso fra l’aggressività e il sostanziale anti-occidentalismo all’estero e il giro di vite repressivo all’interno. Molto spesso, nelle analisi italiane, leggiamo che l’una e l’altra siano motivate da una percezione di “accerchiamento” della Russia, che temerebbe la superpotenza americana. In pratica, si tratterebbe solo di una reazione difensiva. Non si capisce perché, però, questa percezione di “accerchiamento” continui anche dopo quattro anni di amministrazione Obama, che si era aperta proprio all’insegna della distensione delle relazioni con il Cremlino. I democratici Usa non sono stati abbastanza rassicuranti con i russi? O la percezione di “accerchiamento” è generata da cause interne alla Russia e non dalle relazioni internazionali? Intervistato da Radio Free Europe, l’esperto di politica russa Ariel Cohen demolisce un po’ di miti filo-russi che vanno tanto di moda in Italia. E spiega, chiaramente, come la politica estera (grandeur militare e confronto con l’Occidente) sia alimentata da problemi unicamente interni alla Russia. «Gli Stati Uniti non danno alcun fastidio (alla politica di Mosca, ndr) – spiega Cohen – La vera tragedia è che una parte dell’élite politica pensa che, per consolidare il proprio potere in Russia, sia necessario un nemico esterno e che questo avversario possa essere solo la più grande potenza nel mondo». Cioè gli Stati Uniti. «L’anti-americanismo ha origini prettamente interne – ribadisce il politologo della Heritage Foundation – Serve a consolidare l’ordine nella società, creare quello che in Russia chiamano “vneshnij vrag”, il nemico esterno e rilanciare il prestigio dei servizi segreti, dell’esercito, dello Stato e del comandante in capo: il presidente. Il che è, in realtà, un metodo per legittimare l’attuale sistema di potere, che, in qualche misura, si sente indebolito in termini di consenso popolare. Ha già avuto bisogno di adottare misure estreme per creare l’impressione che il partito di governo fosse stato legittimamente eletto alla Duma (la camera bassa del parlamento, ndr) nelle elezioni del dicembre 2011».

In effetti, fra tutte le repubbliche ex sovietiche, la Russia è quella che maggiormente si sente erede dell’Unione Sovietica, il cui crollo è stato definito da Vladimir Putin come la “più grande tragedia geopolitica del Novecento”. L’eredità non consiste solo nel deterrente nucleare (mantenuto intatto e costantemente aggiornato), ma anche nei simbolismi. Il passato è intoccabile e non può essere esplorato da una storiografia “revisionista”. Le feste sovietiche sono ancora celebrate, soprattutto quando riguardano le glorie passate dell’Armata Rossa. Non solo si ereditano le glorie, ma anche i nemici: gli Stati Uniti sono ancora lo spauracchio principale. «Ma resta anche una diffidenza di fondo nei riguardi dell’America – avverte Cohen – in tutti quei dirigenti che si sono formati nei servizi segreti dell’Unione Sovietica (fra cui Putin, ex colonnello del Kgb, ndr). Purtroppo, essi credono nella loro stessa propaganda. Non c’è alcuna autentica competizione fra le fonti di informazione, né fra diverse teorie della politica internazionale. Ce n’è ancora meno oggi rispetto agli anni ’90. Domina un’unica visione del mondo, quella dei servizi di intelligence, che è intrinsecamente anti-occidentale, o, come la chiamano loro, “anti-liberale”, in cui i valori anti-americani giocano un ruolo significativo».

Eppure, come spiega Cohen, vi sarebbero ampie possibilità di intesa fra Usa e Russia. In alcune aree già cooperano: in Asia Centrale collaborano per garantire l’ordine in Afghanistan e condividono lo stesso interesse contro i Talebani, le frange islamiste fuori controllo e il traffico di droga. Gli Usa hanno sostenuto la candidatura russa al Wto. E recentemente, con un accordo fra i due ministri degli Esteri (Lavrov e la Clinton), è stato maggiormente liberalizzato il regime dei visti. «Se si tiene conto delle priorità e degli interessi nazionali della Russia, cioè crescere economicamente e avere confini sicuri – afferma Cohen – non vediamo alcun inevitabile conflitto con gli Stati Uniti. Specialmente se la Russia desse ascolto alle preoccupazioni espresse dagli Usa nel campo dei diritti umani, concedendo più libertà all’attività politica. Io credo che la Russia stia compiendo dei primi passi in questa direzione, anche se non sono sufficienti».

Insomma, la guerra fredda potrebbe già essere morta e sepolta da un pezzo. Sono i militari e gli ex agenti del Kgb al Cremlino che non se ne sono ancora accorti. Come i giapponesi che continuarono a resistere nelle isolette del Pacifico, anche dopo il 1945. Con l’unica “piccola” differenza che gli irriducibili di Mosca sono al potere. E sono armati di missili nucleari.


di Stefano Magni