Silenzio dei media su Petraeus e Bengasi

martedì 20 novembre 2012


La notizia di venerdì (sabato, per l’orario italiano) era l’audizione al Congresso di David Petraeus. L’ex direttore della Cia ha esposto la sua versione dei fatti di Bengasi dell’11 settembre scorso, spiegando come, sin dalle prime ore, fosse chiara la natura terrorista dell’assalto al consolato statunitense e dell’uccisione dell’ambasciatore statunitense Christopher Stevens. La notizia di oggi è un’altra: da sabato ad oggi non si è più parlato dell’audizione di Petraeus, se non su pochi media di orientamento conservatore: la solita Fox News, il solito New York Post e i soliti paper della Heritage Foundation. Le grandi testate e i maggiori giornalisti di investigazione, gli stessi che hanno fatto le pulci alla Cia e all’amministrazione Bush ai tempi della guerra in Iraq (quelli che: “le armi di distruzione di massa non sono mai esistite”) sembrano disinteressarsi completamente all’uccisione di quattro cittadini americani, in terra di Libia, a meno di un anno dal rovesciamento della dittatura di Muhammar Gheddafi, dopo una guerra civile sostenuta dall’aviazione statunitense.

Eppure la tragedia passata è recentissima, ci sono ancora molti punti oscuri da chiarire e la testimonianza di Petraeus, soprattutto, rivela un dettaglio veramente importante: secondo la Cia, l’attacco a Bengasi era pianificato da Ansar al Shariah, un gruppo terrorista libico, legato ad Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Questa ipotesi era già supportata da molte prove sin dal 12 settembre. A questo punto, allora, non si capisce perché l’ambasciatrice statunitense all’Onu, Susan Rice, abbia considerato l’assalto al consolato “un atto spontaneo”, nel corso di una protesta “spontanea”, nata in Egitto ed estesasi subito in Libia a causa di un video amatoriale su Maometto postato mesi prima su YouTube da un gruppo di goliardi egiziani e americani. Per quasi due settimane, quella della “protesta spontanea” è stata la versione ufficiale della Casa Bianca. Solo successivamente, Barack Obama ha ammesso che si trattasse di un attacco terroristico. Il suo vicepresidente, Joe Biden, nel corso del dibattito televisivo elettorale con il candidato repubblicano Paul Ryan, ha dichiarato che quella prima versione fosse supportata dai primi dati di intelligence a disposizione della Casa Bianca. E che solo successivamente siano emerse le prove dell’attacco terroristico organizzato. Ma se la Cia sapeva dell’attacco, sin dalle prime ore, come ha dichiarato Petraeus, allora di cosa stava parlando Biden?

Chi sta mentendo? L’ex direttore della Cia, stando alla testimonianza del deputato repubblicano Peter King, avrebbe cambiato versione in questi due mesi. Perché, nella sua prima testimonianza al Congresso, il 14 settembre, sarebbe stato molto meno deciso sulla natura terrorista dell’attacco. Avrebbe infatti dichiarato che quella del terrorismo fosse solo una delle ipotesi, ma che altri (“almeno 20”) rapporti di intelligence avrebbero suggerito il moto spontaneo degenerato. La Cia, però, ha scartato quei rapporti. E Petraeus ha spiegato, ai media, che la sua testimonianza di venerdì scorso servisse proprio a “far chiarezza” su quanto accaduto. I Repubblicani, dunque, hanno tutte le ragioni di credere che sia stata l’amministrazione Obama a confondere le acque per evitare di fare una brutta figura, a due mesi dalle elezioni. Qualcuno nel Grand Old Party pensa di poter cavalcare un “Bengasigate” per portare il presidente all’impeachment, come Nixon ai tempi del Watergate. Ma c’è una differenza sostanziale fra allora ed oggi: il ruolo investigativo dei media, del Washington Post in particolare, fu fondamentale per trascinare il presidente repubblicano nella polvere. Oggi, al contrario, a partire dal Washington Post, i media sembrano proprio allineati e coperti dietro al presidente democratico.


di Stefano Magni