La nuova Libia è uguale alla vecchia

martedì 9 ottobre 2012


Domenica, alle ore 13, due pescherecci italiani, di Mazara del Vallo, il “Daniela L” e il “Giulia Pg” sono stati fermati dalle motovedette libiche e scortati a Bengasi, dove sono stati posti sotto sequestro. I militari nordafricani avrebbero anche sparato raffiche di mitra, secondo il sindaco di Mazara, Nicola Cristaldi. Che definisce l’accaduto «di una gravità assoluta». La Farnesina ha subito attivato l’ambasciatore a Tripoli, Giuseppe Grimaldi e il console a Bengasi, Guido De Santis per ottenere il dissequestro. A bordo delle due imbarcazioni ci sono 14 uomini d’equipaggio, italiani e tunisini. I pescherecci erano in acque internazionali. Ma i libici considerano, unilateralmente, quell’area come cosa propria.

Sembra un déja vu. E in effetti lo è. Lo stesso peschereccio “Daniela L” era stato fermato il 1 dicembre 2010. Allora, alla testa della Libia, c’era il colonnello Gheddafi. Eppure, cambiano i governi, cambiano addirittura i regimi, ma non le intenzioni dei nostri vicini meridionali. Le notizie dei sequestri sembrano tutte uguali. Vediamone alcune, andando a ritroso. Il 7 giugno scorso, tre pescherecci di Mazara del Vallo, “Boccia II”, “Maestrale” e “Antonio Sirrato”, vengono fermati da imbarcazioni di miliziani libici armati, a 42 miglia dalla costa libica, ben al di fuori delle acque territoriali di Tripoli. Il 26 novembre 2011, due pescherecci siciliani, “Asia” e “Astra” (il primo di Mazara del Vallo, il secondo di Siracusa), vengono fermati anch’essi, abbordati e sequestrati a ben 40 miglia da Misurata. 16 novembre 2011: un peschereccio di Mazara del Vallo, il “Twenty Two” viene fermato da una motovedetta libica e scortato a Tripoli. Stava navigando a 31 miglia dalle coste libiche. 12 settembre 2010: l’“Ariete”, di Mazara del Vallo, viene fermato a colpi di mitra (sparati ad altezza uomo) da una motovedetta libica. 10 giugno 2010: tre pescherecci siciliani, “Alibut”, “Mariner 10” e “Vincenza Giacalone” sono sequestrati dalle guardie costiere libiche, nel Golfo della Sirte.

Nulla è cambiato? Qualcosa sì. Nei sequestri ai tempi di Gheddafi c’era qualcuno (il colonnello) con cui trattare. Adesso è più difficile. Il premier, Mustafà Abushagur, si è dimesso proprio ieri. Attualmente, a Tripoli, non c’è alcun governo. Qualcosa avrebbe dovuto cambiare? Sì, molto. La rivendicazione di un Golfo della Sirte interamente libico era un vecchio sogno nazionalista di Muhammar Gheddafi. Nel 1973 dichiarò minacciosamente che il limite delle nuove acque territoriali sarebbe diventato una “linea della morte” per chiunque vi fosse entrato. Un progetto per il quale non esitò a scontrarsi, per ben quattro volte (1980, 1981, 1986, 1989), con la marina degli Stati Uniti. L’attentato alla discoteca La Belle di Berlino, la risposta militare americana su Tripoli nel 1986, i missili su Lampedusa, le bombe sui voli di Lockerbie e il volo Uta 772 abbattuto sui cieli del Niger, sono tutte le sanguinose conseguenze di quella politica. La Libia si è ribellata al regime di Gheddafi e se ne è liberata alla fine dell’anno scorso. Perché continua con la sua più pericolosa politica nazionalista? L’Italia ha partecipato, a pieno titolo, alla guerra di liberazione della Libia dal vecchio regime. È questo il modo di ripagarci? Certo, ad altri alleati è andata anche peggio. Agli Stati Uniti, i libici hanno anche ucciso l’ambasciatore.


di Stefano Magni