Come le sanzioni Ue piegano l'Iran

sabato 6 ottobre 2012


Il rial crolla (-17% in un solo giorno), l’inflazione galoppa a ritmo incessante (oltre il 20%), la disoccupazione si attesta intorno al 15% (2011), il Pil continua a contrarsi e numerose imprese sono ridotte allo stremo.

Questi sono alcuni degli effetti provocati dalle sanzioni occidentali applicate ai danni della Repubblica Islamica. Una crisi del sistema economico iraniano culminata lo scorso 3 ottobre con la “rivolta dei bazaar”. Nell’ultimo anno, i prezzi dei generi di prima necessità sono aumentati del 50% (latte e carne), mentre il prezzo della benzina è cresciuto a ritmi vertiginosi, sfiorando i 160 dollari al barile. Le sanzioni economiche varate ultimamente dall’Unione Europea sembrano aver funzionato. Tuttavia, è necessario valutare la loro portata partendo da tre interrogativi: freneranno il programma nucleare? In che misura? E quali gli effetti a lungo termine?

I divieti dell’Ue sono entrati in vigore il 1 luglio. Nessuna nave europea ha più avuto l’autorizzazione a trasportare il greggio iraniano, mentre il governo centrale di Teheran non ha più avuto la possibilità di farsi pagare in dollari o euro. Se da un lato si voleva colpire la corsa ai finanziamenti al programma nucleare, dall’altro, gli effetti di tali divieti sono ricaduti sulla popolazione. I prezzi esorbitanti nei bazaar di Teheran, Isfahan e Mashad registrati negli ultimi mesi riflettono appieno la crisi interna. A partire dall’aumento del prezzo del pollo. Uno dei piatti principali della cucina persiana ha subito un aumento del 300%. Ancor più che nei bazaar, è nelle stazioni di servizio che la “crisi” si fa sentire maggiormente.

Grazie alle sovvenzioni, in Iran la benzina è sempre costata poco. Tuttavia, da dicembre a oggi, il prezzo è salito da 1000 rial (0,10 dollari) a 4000 rial per sessanta litri di benzina acquistati mensilmente. In alcune pompe di benzina, il prezzo è arrivato a sfiorare i 7000 rial (0,70 dollari). Sappiamo bene che l’economia iraniana dipende in gran parte dal greggio. L’export di petrolio rappresenta oltre la metà delle entrate governative e l’80% delle esportazioni complessive. Le misure restrittive scattate il primo luglio hanno frenato numerosi Paesi dall’acquistare “oro nero” da Teheran. Le vendite di greggio sono crollate letteralmente, registrando un solo milione di barili al giorno (-55%). Meno export di greggio (scambiato in dollari) si traduce in meno valuta preziosa che entra in Iran.

E ciò si ripercuote sulla valuta locale, il rial. Certo, a pesare sulla svalutazione della moneta locale anche le faide interne al regime. È evidente come il peso delle sanzioni stia mettendo a dura prova la tenuta del sistema, ma questo non significa l’avvio di un processo irreversibile. L’Iran, a dispetto di quanto possa sembrare, è uno dei Paesi meno indebitati del mondo e ha dimostrato di tenere duro anche all’indomani della crisi finanziaria del 2008. Il crollo delle esportazioni ovviamente peserà non poco sulla sua tenuta, e soprattutto il diffuso malcontento rischia di innescare rivolte popolari. Questo spiega l’imponente dispiegamento di forze paramilitari per le strade della capitale. Intanto nelle strade di Teheran iniziano a vedersi i primi graffiti di contestazione: “che prezzo avrà l’energia nucleare?”.


di Pamela Schirru