venerdì 28 settembre 2012
Il discorso di Barack Obama all’Onu, benché ineccepibile sul piano dei principi, è stato un insuccesso. Le reazioni dei leader mediorientali da lui sostenuti sono state negative: nessuno riconosce il ruolo degli Usa, tutti condannano l’alleato per un video amatoriale apparso su YouTube. Questo scacco va ad aggiungersi al fallimento della politica di rilancio dei rapporti con la Russia (siamo ancora al punto del 2009: lite sullo scudo anti-missile europeo), al fallimento del rilancio dei rapporti con la Cina (con cui prosegue la solita guerra valutaria e commerciale), al fallimento della politica di rilancio dell’immagine della politica negli Usa presso l’opinione pubblica mediorientale: l’ondata di odio anti-Usa, tuttora in corso, è lì a dimostrarlo.
Per non parlare, poi, dei fallimenti nell’economia: la disoccupazione resta al di sopra dell’8%, il debito pubblico è aumentato di 6mila miliardi di dollari. Sono stati spesi 4mila miliardi di dollari per piani di “stimolo” economico, che non hanno fatto ripartire la crescita, tuttora la più lenta dal 1945. Appare evidente a tutti che gli americani si trovano di fronte al completo insuccesso di un’amministrazione. Eppure… eppure i sondaggi danno in vantaggio il presidente uscente sullo sfidante repubblicano Mitt Romney. Con un margine che, giorno dopo giorno, continua ad allargarsi. Ieri, ad esempio, la media dei sondaggi nazionali (effettuata da Real Clear Politics) dà Obama in testa di 4 punti sul rivale. Un punto percentuale in più rispetto alla settimana scorsa. Se spostiamo lo sguardo sui singoli stati in bilico, determinanti per la vittoria, vediamo che Obama è, per la prima volta, chiaramente in testa in Ohio. Lo è anche, in misura minore, in Florida e in Virginia.
Insomma, più Obama le prende, più piace. Come è possibile? Se lo chiede anche Charles Gaves, inviato in America della rivista liberale francese online Contrepoints.org. Lo strano fenomeno della popolarità di Obama, inversamente proporzionale ai suoi risultati, si può spiegare con la tecnica dei sondaggi. C’è evidentemente qualcosa che non torna. «Il corpo elettorale si divide tra un 35,4% di Repubblicani (registrati tali), un 34% di Democratici (registrati tali) e un 30,5% di indipendenti, non iscritti ad alcun partito, che possono votare l’uno o l’altro candidato. Secondo i sondaggi, il 97% degli elettori iscritti come Repubblicani voteranno Romney. Il 98% degli elettori Democratici voteranno Obama. Ecco un’eguaglianza quasi perfetta, il che vuol dire che i risultati finali dipenderanno dagli indecisi. Ora passo ad analizzare come vengono effettuati i sondaggi. I campioni usati dalle grandi società di sondaggio degli Stati Uniti sono costituiti da 1300 persone, di cui il 51% sono Democratici e il 44% sono Repubblicani e il resto indipendenti. La sovra-rappresentazione dei Democratici e la sotto-rappresentazione degli indipendenti nei sondaggi spiega, da sola, i buoni risultati del presidente uscente».
Più che rilievi statistici, dunque, sembrerebbe di trovarsi di fronte ad una campagna di comunicazione pro-Obama, volta a scoraggiare i Repubblicani: visto che la partita risulta essere persa in partenza, perché andare a votare?
di Stefano Magni