C'è del marcio in quel di Pechino

martedì 25 settembre 2012


Wang Lijun, l’ex “uomo forte” di Chongqing, provincia-modello della Cina, è stato condannato a 15 anni di carcere dopo un rapido processo. È stato incarcerato per «Distorsione della legge a fine egoistici, defezione, abuso di potere e corruzione». La vicenda di Wang Lijun non può essere compresa, se non viene letta all’interno di un’epurazione in corso nel Partito Comunista Cinese. Wang, infatti, era il braccio destro (e operativo) di Bo Xilai, il dirigente di Chongqing. Bo è stato espulso dal partito per “indisciplina”.

Sua moglie, Gu Kailai, è stata condannata a morte. Solo formalmente, perché la sentenza è sospesa. L’accusa, nei suoi confronti, è di omicidio: avrebbe fatto assassinare l’uomo d’affari britannico Neil Heywood. Il ruolo della polizia sarebbe stato fondamentale: gli agenti agli ordini di Wang avrebbero infatti nascosto le prove per evitare lo scandalo. Poi sarebbe scoppiato un dissidio fra Wang e la moglie di Bo e allora il “superpoliziotto” avrebbe ordinato ai suoi uomini di riportare alla luce le prove che la incriminavano. Quattro ufficiali della polizia di Chongqing hanno ammesso di aver nascosto le prove. Anche loro sono stati licenziati e condannati a pene detentive minori: dai 4 agli 11 anni.

Di Bo Xilai, epicentro di tutto lo scandalo, non si sa più nulla dalla scorsa primavera, cioè dai tempi della sua estromissione dal Partito. In quei giorni, Wang aveva tentato la fuga, rifugiandosi nel consolato statunitense. Poi era sceso a patti con la giustizia. Adesso si sa che rimarrà vivo e che la sua pena consiste in 15 anni di galera (ridotti dai 20 previsti, proprio per la sua disponibilità a cooperare). Il suo processo, parzialmente pubblico (una seduta a porte chiuse e l’altra aperta ai giornalisti) ha contribuito a gettare ulteriore fango sull’ex dirigente in ascesa Bo Xilai. Tutto quanto raccontato finora è la versione ufficiale dei fatti fornita dall’agenzia cinese Xinhua.

Non è lecito metterla in discussione. Ma resta “qualche” dubbio. Prima di tutto sulle accuse: si tratta “solo” dell’omicidio di un uomo d’affari? O c’è ben altro sotto? La difesa di Gu Kailai parla di una storia di ricatti. Heywood avrebbe addirittura minacciato Gu Kailai e la sua famiglia. Ma su cosa l’avrebbe ricattata, ammesso che sia vero che la stesse ricattando? Subito dopo l’epurazione, per “indisciplina” di Bo Xilai, fonti cinesi del New York Times avevano parlato di una rete di spionaggio messa in piedi dal dirigente, ai danni dei dirigenti del Partito. Avrebbe intercettato tutte le loro conversazioni, origliando anche quel che diceva il presidente Hu Jintao. Wang Lijun, suo braccio destro, sarebbe stato l’architetto di tutto il piano clandestino. E perché mai, Bo Xilai avrebbe fatto tutto questo? Perché a ottobre saranno rinnovate le massime cariche del Partito e dello Stato.

Ed evidentemente (se le fonti del New York Times non mentono), Bo avrebbe voluto avere in mano una forte arma di ricatto. Perché c’era molto su cui ricattare, a quanto pare. C’è del marcio in Cina, dunque, molto più che in Danimarca. Per Pechino, prima del rinnovo dei suoi vertici, ora è importante metter fine allo scandalo il più rapidamente possibile. Processando i principali attori della vicenda, concentrando le accuse su un unico caso di omicidio e chiudendo la partita con punizioni neppure troppo severe.


di Giorgio Sebastiani