Il cinema antisemita iraniano

venerdì 21 settembre 2012


L’Iran è il più grande finanziatore di film anti semiti, non di satira, ma sullo stile propagandistico di pellicole come “Suess l’ebreo” risalente al non rimpianto regime nazista, di cui peraltro la maggioranza dei Paesi arabi, all’epoca, fu alleata entusiasta. Addirittura ogni anno si svolge a Teheran il festival delle vignette “anti sioniste”, in realtà anti semite, e qualche volta anche qualche vignettista italiano di destra o di sinistra ebbe il coraggio di parteciparvi. Ovviamente nessun fanatico ebreo ha mai assaltato ambasciate arabe o ucciso consoli.

Ora l’Iran ha appena prodotto una pellicola che si chiama “Il cacciatore del sabato” (“Saturday hunter”), girandola direttamente in inglese, cioè prodotto diretto all’esportazione. Ne parlava ieri in un dettagliato articolo Lettera43.

Il lungometraggio è stato finanziato dalla società di produzione iraniana Jebraeil, il regista è Parviz Sheikh Tadi, cineasta di regime che in un comunicato stampa ha definito il suo lavoro «il primo film che rivela alcuni aspetti inediti del sionismo». Nel cast compare un’attrice libanese di una certa notorietà, Darine Hamze, e il film ha avuto grande risalto in tutte le maggiori rassegne nazionali iraniane: dal Festival del cinema di Teheran, dove fu presentato in anteprima nel 2010, al Festival di cinema per bambini di Hamadan. La trama è la seguente: un’ora e mezzo di lezione di un nonno rabbino a suo nipote, nella quale il bambino assiste alle lezioni di vita del crudele nonno. Una caricatura degna dei peggiori stereotipi antisemiti: l’anziano che taglieggia i contadini arabi, sgozza a sangue freddo un inerme vecchio e guida un massacro di donne e bambini.

Il rabbino poi costringe il piccolo a sparare. «Non aver paura», dice Rabbi Hanan, «se Dio non volesse ti fermerebbe. Spara, spara. Non aver paura».

Benjamin risponde che «la Torah dice che uccidere è proibito», ma il nonno lo rimprovera: «Stupido! Solo uccidere ebrei è proibito», lo ammonisce, incitandolo poi con l’ordine: «Ammazzali, ammazzali! Prima che ti uccidano!».

Il ragazzino è combattuto anche perché fa amicizia con un coetaneo musulmano, ma verso la fine del film si consuma un massacro e il piccolo protagonista, vestito ormai dei tradizionali panni degli ebrei ortodossi, non ha pietà per nessuno e spara a sangue freddo su chiunque gli capiti a tiro, non escluso il suo amico che gli chiede pietà.

Nella scena conclusiva, il vecchio Rabbi Hanan consegna idealmente la sua eredità spirituale di odio e violenza al nipote invitandolo a non fermarsi di fronte a nulla. Nei titoli di coda, infine, passano una serie di immagini reali di bambini ebrei e soldati israeliani che pregano.

Ecco, questo orrore adesso viene trasmesso nei cinema e nelle sale parrocchiali islamico-sciite di Teheran. Non ha alcun intento satirico e non sta provocando alcuna reazione violenta da parte di comunità ebraiche contro le ambasciate iraniane. In compenso nemmeno gli europei che arriverebbero, su suggerimento di Erdogan, ad approvare una surreale legge di censura contro qualsiasi cosa che riguardi l’Islam e il profeta, fanno finta di non essersi accorti che pellicole come questa sono pane quotidiano nei Paesi arabi e anche in quelli semplicemente islamici come l’Iran.


di Dimitri Buffa