Il pericolo nucleare iraniano

sabato 15 settembre 2012


Per la seconda volta in due anni, l’Aiea esprime una “forte preoccupazione” per il programma nucleare iraniano. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, nella sua ultima risoluzione, accusa l’Iran di non aver voluto seriamente collaborare all’operato degli ispettori. Teheran, infatti, nega loro l’accesso ai siti sotto indagine, come Parchin, il complesso militare dove probabilmente si sono condotti studi e test sulle future testate nucleari. Il rapporto dell’Agenzia non dà adito ad equivoci: il programma iraniano è andato avanti fino al punto di poter produrre almeno 6 ordigni nucleari, se il suo intento dovesse risultare essere militare e non pacifico.

Il documento emesso dall’Aiea chiede pieno e libero accesso a questi siti. Ma la risposta iraniana già la dice lunga: «Questa risoluzione non aiuta a risolvere la questione nucleare, ma la complica – ha commentato l’ambasciatore iraniano Alì Soltanieh – perché la sta politicizzando. Renderà più difficile il clima di cooperazione. Non hanno (i rappresentanti dell’Aiea, ndr) imparato dalle lezioni del passato: ogni qualvolta siano state emesse risoluzioni, il risultato è stato controproducente». L’approvazione della risoluzione non è stata una passeggiata. Il Sud Africa e l’Egitto, ad esempio, hanno chiesto di modificare il testo. Il risultato è un compromesso, un testo meno vincolante rispetto all’originale, che è stato approvato da tutte le grandi potenze che fanno parte del gruppo di contatto “5+1”: Usa, Cina, Russia, Francia, Regno Unito e Germania. L’ambasciatore statunitense all’Aiea, Robert Wood, ritiene che la risoluzione «…lanci un segnale molto forte all’Iran: che la pressione diplomatica stia crescendo, si stia intensificando e che l’isolamento dell’Iran sia sempre più completo».

È però proprio l’atteggiamento degli Stati Uniti che sta mandando in crisi il governo israeliano, il più direttamente minacciato dal programma nucleare di Teheran. Benjamin Netanyahu aveva già (all’inizio del mese) rimproverato l’amministrazione Obama di non aver tracciato “una linea rossa”, oltre la quale la diplomazia possa considerarsi fallita e debba lasciar spazio ad altri metodi, anche militari. Il premier di Gerusalemme ha chiesto a Barack Obama un incontro a quattr’occhi, in occasione dell’apertura della prossima Assemblea Generale dell’Onu a New York. Ma la Casa Bianca ha rifiutato, comunicando la sua decisione con un comunicato ufficiale emesso il 12 settembre. Il periodo è il peggiore possibile. Con mezzo mondo islamico che si sta sollevando contro le sedi diplomatiche statunitensi (a causa di un film “blasfemo”), l’amministrazione Obama non vuol gettare altra benzina sul fuoco.

Ma, così facendo, abbandona l’alleato israeliano in periodo di massimo pericolo. Perché anche l’Iran sta cavalcando palesemente l’onda di sdegno anti-occidentale di questa settimana. A Teheran, in migliaia hanno partecipato alla manifestazione di regime contro gli Usa, lanciando i consueti slogan “Morte all’America!” e “Morte a Israele!”. Se gli Stati Uniti, per il regime degli ayatollah, sono il “Grande Satana”, anche il “Piccolo Satana” (Israele) entra automaticamente nel mirino.


di Stefano Magni