L'Egitto al vertice dei non allineati

sabato 15 settembre 2012


Vertice dei non allineati a Teheran.  Ben 120 paesi continuano a riunirsi periodicamente, dal lontano 1956, quando essi erano molto meno numerosi e c’erano il maresciallo Tito, il leader indiano Nehru e quello egiziano Nasser. Al summit sono stati presenti quasi due terzi dei 193 paesi membri dell’Onu, con il suo Segretario Generale Ban Ki-moon. Questo ha fatto, ovviamente, il gioco degli ayatollah che così hanno voluto dimostrare che solo alcuni paesi, guidati dagli Usa, vogliono l’isolamento dell’Iran. Si è presentato come protagonista Mohamed Morsi, che ha puntato, per trovare una soluzione alla crisi siriana, sulla formazione di un direttorio composto solo da quattro paesi musulmani: Turchia, Egitto, Iran ed Arabia Saudita. Non propone un’azione militare, ma un piano politico che favorisca l’uscita dalla scena di Assad e che crei le condizioni per una transizione democratica.

L’Iran - secondo Morsi - potrebbe essere parte della soluzione anziché parte del problema, perché quando si vuole risolvere un problema occorre riunire tutte le parti che hanno una reale influenza sulla questione. E’ ovvio che il progetto di Morsi spariglia il gioco delle parti esistente nel delicato equilibrio musulmano e medio-orientale. La sunnita Fratellanza Musulmana, infatti, non è amica degli ayatollah sciiti iraniani, ma neanche della monarchia wahabita saudita. Questa intricata situazione, poi, è da conciliare con il sogno egemonico del presidente turco Erdogan. Sembra evidente che il percorso iniziato dal nuovo Egitto non può essere valutato con i canoni della diplomazia convenzionale. Né ci si può limitare a battezzarlo come semplice pragmatismo o come un ovvio gioco da alchimista all’orientale. Mohaned Morsi ha duramente attaccato il regime siriano di Assad, definendolo oppressivo ed affermando che ha perduto ogni legittimità. Ciò ha causato l’abbandono dell’aula da parte dei delegati siriani. In questo modo ha spiazzato anche i padroni di casa, alleati di Damasco. Il bagno di sangue in Siria non si fermerà senza un fattivo intervento, ha ribadito Morsi. L’Egitto chiede al più presto una soluzione politica che si adatti alle condizioni del paese e che si opponga agli omicidi e alle violenze. Per sottolineare che si dissociava anche dalle posizioni iraniane, Morsi è rimasto a Teheran solo cinque ore, rientrando in Egitto, subito dopo il suo discorso.

Il golpe bianco: il forte ridimensionamento dei militari. Sul fronte interno, Morsi, con un’imprevista rapidità di esecuzione, ha deposto dal loro incarico il generale Tantawi, Capo della Giunta militare, nonché ministro della Difesa e simbolo della continuità con il regime di Mubarak, con cui aveva già governato per vent’anni. Essi hanno accettato senza batter ciglio queste decisioni e i due generali sono stati decorati con il Collare del Nilo e nominati consiglieri della presidenza. Contemporaneamente è stata abrogata la cosiddetta “Dichiarazione costituzionale”, emanata prima dell’insediamento di Morsi, con cui si svuotavano i poteri del presidente, compreso il comando delle Forze Armate che passava in mano al ministro delle Difesa, cioè Tantawi. I militari avrebbero voluto mantenere un forte condizionamento della vita politica e proporsi come alfieri della continuità nei confronti di Usa e d’Israele. Ma ora le loro ambizioni risultano sostanzialmente ridimensionate. Morsi ha preso queste decisioni dopo aver ascoltato il parere di molti capi militari più giovani, ben felici di sbarazzarsi dei vecchi comandanti, e instaurando così un nuovo equilibrio tra la presidenza e le Forze Armate, rispetto a quello esistente, che rimontava a Nasser. Ci sarebbe stata una vera trattativa con i giovani generali per risolvere il conflitto di potere, anche con l’appoggio discreto degli americani, interessati alla pace tra Egitto ed Israele. Permangono, tuttavia, delle zone d’ombra nell’operato di Morsi: alcuni giornali indipendenti sono stati messi sotto inchiesta con l’accusa d’incitare alla sedizione. Così come, con la stessa motivazione, sono state bloccate delle trasmissioni dell’emittente Al-Fardeen. Inoltre è stato praticato un rapido ed efficace spoils system, che va dagli alti ranghi dello Stato, ai dirigenti delle grandi aziende pubbliche, ai direttori delle testate giornalistiche, ai governatori.

Diritti umani e ruolo delle donne.  All’inizio della rivolta egiziana, gli islamici non hanno giocato nessun ruolo effettivo.  Poi, però, nel corso dei mesi, e grazie alla forza delle loro organizzazioni, sono riusciti a recuperare terreno e quasi a “scippare” la rivoluzione a quanti ne erano stati protagonisti.

In occasione del golpe bianco di Morsi, molti della gioventù protagonista di piazza Tahrir si sono posti, con una maggiore coscienza critica, l’interrogativo sulla volontà del Presidente di gestire le loro aspirazioni e di rispondere alle loro attese sociali e civili, a partire dall’attuazione dei diritti umani e dal ruolo che devono avere le donne nello sviluppo dell’Egitto. Non dimentichiamo che negli ultimi vent’anni il numero delle donne nelle scuole e nelle università è notevolmente aumentato. E che la presenza femminile nelle manifestazioni di piazza Tahrir è stata elevata.  Dietro la rivolta dei giovani egiziani, però, non vi erano progetti, né una diversa concezione dello Stato. Non si aveva un programma e una leadership. In queste condizioni si poteva solo abbattere un regime, ma non si era in grado di sostituirlo. Il consolidamento del potere di Morsi (che attualmente concentra nelle sue mani tutto il diritto di legiferare e di controllare la stesura di una nuova Costituzione) sta avvenendo in un momento in cui non esiste una vera opposizione. I ragazzi della rivolta di piazza Tahrir sono troppo deboli, divisi, frammentati, senza una linea comune. I cosiddetti gruppi pro-democrazia possono fare poco e si limitano a denunciare la “rivoluzione rubata”. In questi giorni, poi, è sorto un fenomeno nuovo. In sé, è un piccolo problema, ma può essere un indicatore significativo di un orientamento socio-culturale del nuovo corso. Ragazze e giovani signore sono insultate e vittime di molestie, per strada, in pieno giorno, da parte di bande di ragazzi.  Alcune di queste donne molestate hanno anche il velo. La responsabilità potrebbe essere della propaganda aberrante degli integralisti che sminuisce le donne e le vorrebbe chiuse in casa, per cui è una vergogna se escono per strada. Più probabilmente, forse, sono ragazzi socialmente alla deriva. In tutti i casi, ad aggravare le cose è la sostanziale assenza della polizia per le strade e i responsabili, ai vari livelli, del nuovo corso egiziano, non si preoccupano ancora del sorgere e del propagarsi di questo deplorevole fenomeno. Quali prospettive. L’Egitto è un grande paese, il più importante del mondo arabo e non vuol perdere il proprio ruolo di guida dei paesi arabi, in particolare di quelli sunniti. L’Arabia Saudita e il piccolo ma ricco Qatar, sono troppo legati agli Usa per esercitare un reale influsso nel mondo musulmano; mentre la Turchia, che ha un crescente prestigio, pur essendo a maggioranza sunnita, non è un paese arabo.  Morsi, quindi, ha grandi possibilità di poter esercitare un ruolo da protagonista nello scacchiere medio-orientale. A tale scopo, si dice a Gerusalemme che, a fine settembre, in occasione dell’Assemblea Generale dell’Onu, potrebbe incontrare Shimon Peres, ufficialmente per trattare sul Sinai e per rinegoziare il prezzo del gas, di fatto per stringere un rapporto di buon vicinato e per farsi interprete delle esigenze musulmane. Mohaned Morsi, in questo primo periodo, sul fronte interno, ha voluto dimostrare che al comando, in Egitto, vi è saldamente il Capo dello Stato.  Allo stesso tempo ha inteso sottolineare che il Sinai, pur con l’assenso d’Israele, non sarà più area smilitarizzata, come previsto dagli accordi di Camp David.

In tutti i casi, Morsi non ha l’intenzione (e certamente, in questo momento, non ha affatto neanche l’interesse) a denunciare gli accordi di pace con Israele (e forse, neanche, a farlo più in là). Così come, probabilmente, non sembra neanche avere la volontà d’imporre la legge islamica, così come vorrebbero gli islamisti più duri. Anche perché i fondamentalisti radicali sono minoritari. Alcuni, tuttavia, vorrebbero che la legge islamica (la Sharia) fosse la fonte di ispirazione della legge dello Stato.  E’ una frase ambigua, questa, che può significare più cose. Da un lato potrebbe essere un segnale di una lente infiltrazione del fondamentalismo islamico. D’altro, l’espressione “fonte d’ispirazione”, non significa, in sé, un’applicazione diretta della Sharia, come è avvenuto in alcuni paesi.  Ma può essere solo un riferimento agli ideali, alla cultura e alla storia di un popolo. Così come i cattolici italiani affermano che la fonte d’ispirazione del loro impegno politico è il Vangelo. Certo, non si può minimizzare il problema della compatibilità tra la Sharia e il diritto comune, tuttavia, non è una buona condotta la paura preventiva. Denunciando l’estremismo altrui, spesso si manifesta il proprio estremismo.


di Costanza Fisteva