venerdì 7 settembre 2012
Il rapporto dell’Aiea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) sull’Iran è più allarmante di quanto non si credesse. Ed è l’ulteriore dimostrazione che le sanzioni non funzionano. Né, finora, la diplomazia ha portato a qualche risultato. Il regime di Teheran, in pratica, risulta tecnicamente molto vicino alla realizzazione della sua prima bomba atomica. Possiede già materiale fissile sufficiente a fabbricare 6 ordigni. E sta rapidamente trasferendo il programma nel sito di Fordow che, essendo scavato in una montagna, risulterebbe immune ad un eventuale bombardamento israeliano. Infine: entro un anno, ad Arak, sarà pronto un nuovo reattore ad acqua pesante in grado di produrre plutonio, altra materia prima per le testate nucleari.
Il rapporto sarà presentato nel prossimo vertice dell’Aiea, previsto per il 10-14 settembre a Vienna. Sarà sicuramente oggetto di polemiche e dibattito all’Onu. C’è da attendersi che la reazione statunitense consisterà, soprattutto, nel proporre nuovi pacchetti di sanzioni. In vista delle elezioni, quale presidente si lancerebbe in avventure militari? Eppure il governo Netanyahu, in Israele, dall’inizio di questo mese, chiede a gran voce di fissare, una volta per tutte, «una linea rossa», superata la quale, la comunità internazionale «mostri la sua risolutezza». Sempre che, l’Iran, questa linea rossa non l’abbia già passata.
Secondo le stime dell’Aiea, l’Iran ha già prodotto 6.876 kg di uranio arricchito al 5%, utile per alimentare un reattore nucleare, ma non ancora per costruire armi atomiche. Oltre a questo materiale, vi sarebbero già in magazzino anche altri 186 kg di uranio arricchito al 20%, un grado di raffinazione ancora insufficiente per l’uso militare. Dove sarà il problema, verrebbe da chiedere? Sarà tutto nella capacità di produzione iraniana. Secondo gli esperti dell’Agenzia, infatti, basta un periodo di tempo relativamente breve, dai 2 ai 6 mesi, per raffinare le attuali scorte di uranio iraniano (sia quello arricchito al 5%, sia quello al 20%) e portarle al 90% di arricchimento, ottenendo il materiale necessario alla costruzione delle testate nucleari. Non è solo un problema di quantità e velocità, ma anche di capacità di sopravvivenza di tutto il programma. Per Israele, nel 1981, fu relativamente facile annientare il programma nucleare di Saddam Hussein, perché era concentrato in un unico sito nel deserto (Osirak), vulnerabile ad un bombardamento aereo. Durante questa estate, invece, l’Iran ha raddoppiato il numero delle sue centrifughe (con cui l’uranio viene arricchito) nel sito sotterraneo di Fordow, da 1064 che erano alle attuali 2140. Fordow, come detto, è invulnerabile ad un bombardamento israeliano. Solo una bomba ad alta penetrazione Gbu-57B potrebbe (ma è ancora tutto da vedere) danneggiare il sito. E l’aviazione di Israele non dispone di Gbu-57B, ordigni di ultima generazione che solo gli Usa hanno schierato. Considerando che un bombardamento statunitense, almeno nel breve periodo, è fuori discussione, gli iraniani ritengono, a ragione, di avere messo al riparo il loro programma nucleare.
Benché il regime di Teheran ripeta fino alla nausea che il suo nucleare è “pacifico” (l’uranio arricchito al 20%, secondo la versione ufficiale, è destinato al solo uso medico), l’Aiea lamenta di non poter accedere al sito di Parchin, dove, pare, si stiano già sperimentando le testate atomiche. In quella località, chiusa agli occhi “indiscreti” dell’Onu, sarebbero stati condotti test con esplosivi convenzionali, utili a capire e affinare il funzionamento di ogive nucleari.
Infine, il nuovo reattore ad acqua pesante di Arak costituisce un pericolo potenziale. Se dovesse essere inaugurato entro la fine dell’anno prossimo, come previsto da Teheran, permetterebbe di accumulare scorte di plutonio (con cui si possono fabbricare altre testate nucleari) senza passare dall’ingombrante processo di arricchimento dell’uranio. In pratica l’Iran si assicurerebbe un mezzo di produzione di massa per armi di distruzione di massa.
Per ulteriore sicurezza, onde evitare che il programma atomico venga distrutto quando è ancora in fase di costruzione, l’Iran sta completando anche un nuovo sistema di difesa anti-aerea e anti-missile, capace di respingere un attacco da qualsiasi provenienza. La Russia si era rifiutata di vendere al regime di Teheran gli S-300, missili anti-aerei schierati dall’Urss nel 1979 e perfezionati nell’ultimo trentennio. Ma le forze armate di Teheran, stando a quanto ha dichiarato ieri dal generale Farzad Ermayeeli, si stando dotando del proprio missile “Bavar”, di produzione propria, in grado di sopperire alla mancanza dei vecchi sistemi russi. Secondo il generale iraniano, un terzo del programma “Bavar” è già completo.
La finestra di opportunità per un attacco israeliano, dunque, sarebbe quasi del tutto chiusa se il rapporto Aiea dovesse risultare corretto. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad pare rendersene conto. Intervistato dalla Tv di Stato iraniana, mercoledì sera, ha lamentato il fatto di non potersi candidare per la terza volta, nelle prossime presidenziali del 2013. E, secondo alcuni, starebbe preparando qualche trucco per restare al potere dietro le quinte, come Putin fece nel 2008 in Russia. Motivo di tutto questo affanno potrebbe essere semplice fame di potere. Ma anche la convinzione che nel 2013, o poco oltre, può accadere qualcosa di “speciale”.
di Stefano Magni