Ken Loach invita a boicottare Israele

giovedì 6 settembre 2012


Parafrasando un noto detto, per Ken Loach, con tutto il rispetto dovuto al genio e all’artista, si può dire che l’odio anti israeliano è l’ultimo rifugio della canaglia. Infatti l’altro giorno a Venezia, per stupire il borghese che è in ognuno dei suoi numerosi e politically correct fans, che si inventa? Di rispondere pubblicamente ai palestinesi che chiedono anche ai cineasti di boicottare Israele. Questa la dichiarazione consegnata alla storia, e anche alla geografia: «Come filmaker possiamo fare tante cose.

Possiamo porre interrogativi agli spettatori che favoriscano il sorgere di movimenti politici; possiamo sfruttare situazioni come questa per dare la nostra solidarietà ai disoccupati, a quelli che lottano per la sicurezza sul lavoro, ai cineasti cui viene negata la libertà d’espressione, come in Iran; possiamo rifiutarci di dare il nostro appoggio a governi come quello del Sudafrica, e possiamo rispondere alla chiamata della Palestina di boicottare lo Stato d’Israele, non gli israeliani». Nasce così un’ulteriore variante del cosiddetto “antisemitismo di sinistra”, quella della sineddoche: il contenitore per il contenuto.

Una volta ci si nascondeva dietro la differenza tra anti-sionismo e anti-semitismo, adesso non si boicottano gli israeliani ma Israele. Stupisce l’oltraggio all’intelligenza dello spettatore da parte di Ken Loach, ma tant’è: quando si è contro il capitalismo si finisce inevitabilmente per scivolare nell’odio per il capitale ebraico, e di lì a odiare gli ebrei tour court il passo è breve. Magari poi questo diventa anche un modo di attirare le attenzioni della critica, generalmente benevola con questo tipo di scorciatoie mediatiche, su di sé. E a giudicare dalle banalità dette da Loach nel corso della conferenza stampa, in cui ha spiegato perché era contento di ricevere il premio alla carriera, ce n’era proprio bisogno.

Eccone un florilegio: «abbasso i governi tecnici e le banche», «la working class è costituita dalle persone che fanno i soldi con il lavoro in un’epoca in cui il capitalismo spinge a crearli dal nulla», «oggi viviamo una crisi più profonda di quella che le soluzioni cosmetiche approntate dai governi vorrebbero risolvere». E si potrebbe continuare ancora. Capito allora perché, in questa ottica da discorso sull’autobus, “ci sta” anche il recepimento dell’invito a boicottare Israele. «Non gli israeliani».


di Dimitri Buffa