Donne a 300 all'ora verso la libertà

giovedì 23 agosto 2012


Puoi rincorrere la libertà anche a trecento chilometri orari. Le regole sono quelle del circuito, poche, semplici e inderogabili. Il rischio è sempre dietro l’angolo, ma in West Bank si muore per molto meno.

Questa è la sfida di un pugno di donne cresciute sulle strade di Ramallah. Sono sei in tutto, hanno poco più di vent’anni. Corrono in Formula Tre alla ricerca dell’emancipazione e i fan le hanno già soprannominate Speed Sisters: presto il loro mondo diventerà un documentario. In Medio Oriente non è facile fare la pilota. Religione e mezzi a disposizione rendono la vita particolarmente complicata. Nasci donna e a mala pena ti permettono di prendere la patente, figuriamoci diventare un asso della Formula Uno. «Per fortuna esistono i motori. Quando salgo in auto è un’altra cosa», dice Maysun Jayyusi una delle ragazze. «Ho cercato di tenere nascosto le gare ai miei fin quando ho potuto e l’hanno scoperto solo da un articolo uscito su un giornale locale».

Fare il pilota è un modo per sfuggire al disagio e ai muri della politica. Lottano contro tutto. Contro le famiglie che temono la scelta delle loro figlie, contro la cultura araba e le discriminazioni dell’islam. C’è chi ha deciso di mettere il casco per lasciarsi indietro anni di coprifuoco. È una buona scusa per non indossare il velo e divertirsi. ll loro amore per le corse è cresciuto un po’ alla volta, ogni ora passata in coda prima di un checkpoint. Non amano i posti di blocco, i semafori rossi e le continue perquisizioni.

«Quando il soldato in servizio ti consente di passare, premi sull’acceleratore ed è come se volassi». Jayyusi ha preso lezioni di guida dopo aver terminato gli studi di Economia alla Bir Zeit University. Finita l’università ha continuato a sostenere con mille sforzi la sua passione fino al 2010, quando è stata contattata dal capo del Motor Sport palestinese e della Federazione Motociclistica, Khaled Qaddoura. Jayyusi ha partecipato ad un corso per piloti professionisti, insieme ad altre ragazze. Poi sono nate le Speed Sisters. Mona Ennab, 26 anni, ha iniziato a guidare prima che avesse l’età giusta per farlo. Non poteva prendere nemmeno lezioni: «rubavo la macchina di mia sorella e me ne andavo in giro senza patente». Un altro membro del team è Betty Saadeh. Guida una Peugeot. Di corse ne sa qualcosa, c’è nata dentro e i pneumatici stridono sulle combinazioni del suo dna. Il padre è stato pilota in Messico e ha vinto qualche rally. Ha vissuto negli States, prima di trasferirsi in Cisgiordania. Per lei le corse sono corse e la politica non le interessa. Va in pista per il gusto di vincere e a differenza del resto del gruppo non parla di diritti o di parità dei sessi. I governi, gli stati sono un di più, quasi un disturbo. «La pressione israeliana non ci permette di allenarci come vorremmo. Una volta utilizzavamo la pista del carcere militare di Ofer, ma a seguito degli scontri tra forze israeliane e dimostranti palestinesi è diventata inutilizzabile. I detriti e i blocchi militari dispersi in un territorio diviso in tre aree amministrative, rendono impossibile le competizioni».

Le Speed Sisters inseguono la velocità massima. Durante un viaggio a Silverstone, il mese scorso, Saadeh ha dichiarato alla stampa: «Il nostro sogno è quello di correre qui da professioniste». Se vogliono fermarle devono prima raggiungerle.


di Michele Di Lollo