L'Onu ammette il fallimento in Siria

sabato 4 agosto 2012


La guerra in Siria continua, l’assedio di Aleppo da parte delle forze governative è al suo ottavo giorno. La speranza per una soluzione “politica” di compromesso è oltre l’orizzonte. E in tutto questo l’Onu ammette la sua sconfitta. Condannando se stesso. Invece di formulare una nuova risoluzione di condanna al regime di Damasco, l’Assemblea Generale ne ha introdotta una contro il Consiglio di Sicurezza, reo di non essere riuscito a porre fine al bagno di sangue.

La mossa dell’Assemblea giunge dopo le dimissioni di Kofi Annan, ex segretario generale dell’Onu e (fino all’altro ieri) inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria. Ha constatato che il suo piano di pace, proposto lo scorso aprile, non aveva più alcun senso. Da quando il documento era stato formalmente accettato da Bashar al Assad in poi, i massacri si sono succeduti uno dopo l’altro. A luglio Annan mostrava ancora ottimismo, dopo aver ottenuto nuove promesse di cessate-il-fuoco da Assad. Ma poi sono arrivati i giorni di sangue a Hama, Damasco e adesso Aleppo. Ed è stato veramente troppo. Annan punta il dito contro i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Accusa sia il regime di Assad che gli insorti per l’assoluta mancanza di volontà di giungere ad un accordo. In una sorta di articolo-testamento pubblicato sul Financial Times, prega Russia, Cina e Iran (gli alleati di Damasco) di «assumere sforzi comuni per persuadere la leadership siriana di cambiare corso e abbracciare la transizione politica», anche nel caso che Assad lasci il potere. Poi invita le potenze occidentali (Usa, Regno Unito e Francia), i sauditi e il Qatar a «far pressione sulle opposizioni, perché percorrano un processo politico onnicomprensivo, che includano comunità e istituzioni che attualmente sono associate con il governo». Come il Papa, Annan non può far altro che pregare e sperare nella pace.

E intanto l’Onu si lacera. Il segretario generale Ban Ki-moon chiede ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza di metter da parte le loro «rivalità». Ed è contro di essi che si rivolge, appunto, la nuova risoluzione dell’Assemblea Generale. È stata redatta su iniziativa dell’Arabia Saudita (da sempre schierata dalla parte degli insorti, che sono prevalentemente sunniti), condanna l’uso di armi pesanti da parte del governo di Damasco, la sua mancata promessa di ritirare le truppe dai centri urbani e di liberare i prigionieri politici. Ma, soprattutto, condanna il Consiglio di Sicurezza, per non aver posto fine alle violenze. Onu contro Onu, insomma. I responsabili di questo stallo, chiaramente, sono individuati negli alleati di Assad, Russia e Cina, che hanno più di una volta esercitato il loro diritto di veto per bloccare ogni risoluzione. Un documento dell’Assemblea Generale non ha un valore legale vincolante. Non vi saranno sanzioni contro Mosca o Pechino. Ma è comunque un notevole danno di immagine per l’Onu. Dopo un ventennio di polemiche sulla sua inefficacia nella risoluzione delle crisi in Ruanda, Bosnia, Kosovo, Iraq, l’Onu passerà ancora alla storia per non esser riuscito a muovere un dito per porre fine al massacro in Siria.


di Stefano Magni