Rapire gli italiani ormai è un business

sabato 4 agosto 2012


Il carabiniere Alessandro Spadotto è tornato ad essere un uomo libero. E da ieri è tornato in Italia. Sequestrato a Sanaa, capitale dello Yemen, il 29 luglio scorso, proprio di fronte all’ambasciata italiana dove era in servizio, è stato tenuto prigioniero per quattro giorni dalla milizia tribale guidata da Alì Naser Huraikdan. Questi è un leader locale, precedentemente arrestato per aver ucciso quattro poliziotti. I suoi uomini avevano rapito un ostaggio norvegese e in cambio della sua liberazione hanno ottenuto la scarcerazione del loro capo. Il sequestro di Spadotto, nell’ottica di Huraikdan, era un’altra ricca “merce di scambio”: gli serviva per chiedere la restituzione dei soldi che la polizia gli aveva rubato (mentre era in carcere), i suoi beni di famiglia (congelati dal governo yemenita) e la libertà di espatrio (che il governo gli aveva finora negato).

Il carabiniere ha potuto fare una telefonata durante il sequestro, poi ritrasmessa dalla Tv satellitare Al Arabiya. Ha detto di essere in buona salute, ma anche di essere stato maltrattato durante il rapimento. Huraikdan, successivamente, ha smentito, affermando che il suo prigioniero potesse disporre dell’accesso a Internet, televisione, telefono e «ogni tipo di svago, meglio che in Italia». Spetta al carabiniere, ora libero, raccontare realmente come è andata. Mercoledì scorso era stata tentata una mediazione inter-tribale. Fallita perché Huraikdan chiedeva troppo. I soldi erano al centro dei desideri del leader tribale, stando alla stessa telefonata di Spadotto che sollecitava il pagamento del riscatto richiesto.

Ventiquattr’ore dopo il fallimento della mediazione tribale, il nostro connazionale è stato liberato. Non c’è stato alcun blitz armato. Il governo yemenita aveva promesso al ministro degli Esteri Giulio Terzi di poter risolvere pacificamente la questione. E così è stato. La soddisfazione per il rilascio di un connazionale (vivo e in buona salute) è troppa per porsi alcune imbarazzanti domande. Ma è lecito porsele ugualmente. Le richieste di Huraikdan sono state soddisfatte? Se sì, chi ha pagato, il contribuente italiano o yemenita? E quanto è stato pagato?

Le domande sono lecite, dal momento che, stando agli stessi sequestratori (la Farnesina non ha mai confermato queste notizie), avremmo versato 11,7 milioni di dollari nelle casse dei pirati somali per la liberazione della petroliera Savina Caylyn. Più recentemente, avremmo pagato 15 milioni di euro ad una milizia vicina ad Al Qaeda nel Maghreb Islamico per il rilascio di Rossella Urru. Per Francesco Azzarà, il cooperante di Emergency catturato nel Darfur, Sudan, era stata chiesta una cifra più esigua: 180mila dollari. Non è tuttora chiaro se siano stati pagati. In ogni caso Azzarà è tornato in libertà, senza alcun blitz militare. Rapire un italiano sta diventando un business? Pare proprio di sì, a giudicare dalla frequenza dei sequestri. Rossella Urru era libera da appena due settimane e un signore della guerra yemenita, per ottenere i patrimoni perduti, chi va a rapire? Un italiano. Meglio cambiare passaporto, quando si viaggia in zone a rischio.


di Giorgio Bastiani