Romney sfida i media progressisti

mercoledì 1 agosto 2012


Sin da prima che cominciasse, il viaggio all’estero di Mitt Romney era destinato a sollevare polemiche. Ne ha causate molte più del previsto. Ma un conto è il gossip (ha la cravatta storta, parla male ai giornalisti, fa gaffes con i suoi ospiti…), tutt’altra è la polemica sui contenuti. Quest’ultima sta rapidamente seppellendo il gossip e fa capire quali saranno i fronti del prossimo conflitto culturale parallelo alla campagna elettorale americana. La polemica sui contenuti sta emergendo solo dopo la tappa a Londra, in occasione delle due visite di Romney in Israele e Polonia. In Medio Oriente, il candidato repubblicano ha lanciato la “bomba”: il gap di sviluppo che esiste e permane fra lo Stato ebraico e i suoi vicini arabi è causato dalla cultura.

I palestinesi, per bocca del mediatore Saeb Erekat, hanno immediatamente risposto con una serie di recriminazioni contro Israele. Per il governo di Ramallah, la causa del sottosviluppo del loro Paese è dovuta solo alle restrizioni al commercio imposte dallo Stato ebraico. Sorvolando su tutti i miliardi di euro donati dall’Unione Europea (pari a 5 Piani Marshall) spesi, evidentemente, per scopi estranei allo sviluppo economico. Sebbene le tesi palestinesi siano ben poco convincenti, il furore per le parole di Romney continua, soprattutto nella stampa occidentale. Perché è andato a sfidare un luogo comune culturale duro a morire: i progressisti preferiscono vedere la povertà dei Paesi arabi e della Palestina in particolare, come una colpa di Israele e dell’Occidente. Accusando il primo di occupazione e il secondo di un presunto “post–colonialismo” sfruttatore. In generale, i progressisti, quando analizzano il successo o l’insuccesso di un sistema economico nel mondo in via di sviluppo, privilegiano l’analisi del “contesto” (risorse naturali, conflitti, passato coloniale), trascurando del tutto il fattore “cultura” (quanto le regole tradizionali di una società promuovono il suo sviluppo). Anche Obama ha sposato questa visione del mondo. Nei suoi primi viaggi all’estero, in particolare, il presidente democratico ha chiesto scusa, ad una serie di Paesi (anche ostili, come l’Iran), per la politica estera degli Stati Uniti sotto le precedenti amministrazioni.

I media più progressisti misurano la saggezza di uno statista sulla sua disponibilità ad accettare le colpe dell’America. È chiaro che Romney sfugge del tutto a questa loro regola. Perché, al contrario, vede il segreto del successo di Israele, principalmente, nella sua cultura. Il repubblicano ha paragonato il gap arabo–israeliano ad altre differenze regionali, come quella fra Messico e Usa, Cile ed Ecuador: stessa regione, ma risultati diversissimi, motivati da gap culturali notevoli. Stessa musica per la tappa in Polonia. In barba alle lezioni dell’economista Paul Krugman, Romney ha dichiarato che la politica economica di Varsavia, con le sue liberalizzazioni, sia un esempio da seguire anche per l’America. Non a caso è stato applaudito e incoraggiato da Lech Walesa (che liberò il Paese dal comunismo), ma contestato dai leader sindacali polacchi di oggi (che non vogliono il libero mercato). Romney, insomma, si è rivelato per quello che è: uno “sporco occidentale capitalista”. Ha vinto il ruolo di babau per tutta la stampa progressista.


di Stefano Magni