Saudite alle Olimpiadi, ira degli imam

sabato 28 luglio 2012


La prima volta della partecipazione di donne saudite alle Olimpiadi sta creando un dibattito surreale e retrogrado tra gli ulema di Ryad. Ad esempio in un dibattito televisivo sulla partecipazione saudita donne alle Olimpiadi, che è andato in onda su Rotana Khalijiya Tv il primo luglio 2012 si è sfiorato il grottesco. Tutto rigorosamente documentato dal think-tank Memri, che traduce e diffonde in più di una lingua i media di lingua araba. Dapprincipio si sente la voce dello speaker che riassume l’oggetto del contendere: «Per la prima volta nella storia, le donne saudite stanno prendendo parte ai Giochi olimpici. Un’occasione di risonanza per la situazione delle donne nel paese che può avere un’eco più ampia di quella della recente conquista del dell’elettorato attivo e passivo.

Tuttavia, questo sviluppo, che ha portato la gioia a molte donne e uomini, suscita anche la rabbia di molte autorità religiose». Le autorità, che poi sarebbeo gli ulema sauditi, temono che le donne con il pretesto di dovere fare degli sport attuino atteggiamenti non consoni al credo religioso, che «non esitano a metter in mostra parti del copro destinate a dovere rimanere nascoste coe gemme in uno scrigno». Insomma il solito Medio Evo prossimo venturo, incoraggiato peraltro anche nelle comunità islamiche in Europa e ampiamente giustificato dalla mentalità delle sinistre che ritengono tutto ciò fare parte di una cultura diversa da “tollerare” e non semplicemente retaggio di un’oppressione della religione islamica sul sesso femminile.

Ma ecco dal vivo il parere di Al-Ahmad Mu’abi, imam saudita, che ha partecipato al siparietto televisivo registrato da Memri: «Per quanto riguarda lo sport delle donne in Arabia Saudita noi riteniamo che può avvenire solo in maniera controllata. Abbiamo ragazze che vanno in scuole ad hoc, dove esistono le apposite recinzioni, i campi sportivi, e così via. Se le donne vogliono praticare sport, dovrebbero farlo lontano dalle telecamere e fuori dalla vista degli uomini». Ergo non di certo alle Olimpiadi di Londra. E questo perchè «è nella natura delle donne il mantenersi coperte. Chiunque creda che noi vogliamo limitare le donne si sbaglia. La donna è un tesoro nascosto. Chiunque abbia una gemma cerca di proteggerla, in modo che nessuno la veda o la brami». Insomma la donna per l’islam wahabita, qualora qualcuno ancora non se ne fosse accorto, è un oggetto. Magari prezioso ma pur sempre un oggetto. Timidamente l’intervistatrice, che si presenta in tv coperta da un velo che lascia scoperto solo il volto, dice al clerico sunnita che in tutti gli altri paesi islamici le donne partecipano alle Olimpiadi senza tutta questa apprensione protettiva da parte dello stato. Risposta? «Mia cara ragazza, siamo un paese musulmano al 100%. Siamo tutti musulmani, Allah sia lodato. Ma in altri paesi ci sono anche i cristiani e gli altri non-musulmani.

Di conseguenza, sono costretti ad adattarsi. Ma questo non spetta a me, a te, o a chiunque altro. Il Consiglio degli alti studiosi islamici in Arabia Saudita saprà decidere in un senso o nell’altro. Questo è tutto quello che so». «Ma per quanto riguarda una ragazza che pratica lo sport – continua urlando l’Ulema - è richiesto che sia nella sua casa, o con i suoi amici, o i suoi vicini di casa. Ma poi qual è lo scopo dello sport? Conservare la sua religione. L’obiettivo dell’Islam è quello di costruire il corpo e l’anima. Se ci concentriamo sul corpo e dimentichiamo l’anima è finita». A quel punto la cronista velata, la giornalista sportiva Reem Abdallah, fondatrice della prima squadra di calcio femminile saudita si altera: «Perchè non vi fidate di noi donne? Io non credo che l’obiettivo delle saudite sia di andare ai giochi olimpici per rimuovere l’hijab e indossare vestiti sconci»


di Dimitri Buffa