Siria: la guerra passa per Aleppo

venerdì 27 luglio 2012


La città di Aleppo, nella Siria settentrionale, sta vivendo l’angosciosa vigilia di una grande battaglia. I combattimenti sono già in corso dal fine settimana. I portavoce dell’Esercito Siriano Libero (la forza armata dei ribelli, costituita soprattutto da disertori) affermano di avere il controllo di gran parte della città. Ma l’esercito regolare sta facendo affluire attorno al centro urbano un gran numero di unità, sostenute da artiglieria, mezzi pesanti ed elicotteri d’assalto, drenando forze dal confine turco, da Hama e dalla provincia di Idlib. Il regime di Damasco, dopo essersi assicurato nuovamente il controllo della capitale, non può permettersi di perdere Aleppo. E per oggi ha preannunciato un’offensiva “definitiva” per spazzar via l’esercito degli insorti. Aleppo è importante per tre motivi fondamentali. Prima di tutto perché è un importante snodo commerciale, è la seconda città siriana per importanza e la prima per numero di abitanti. Secondo: perché è vicinissima alla Turchia (appena 60 km dalla frontiera).

È dunque una grande vetrina: per la prima volta i giornalisti possono raggiungere i combattenti irregolari, partendo dal confine turco, intervistarli, mostrare le immagini e i filmati regolarmente dal terreno di scontro. E un conto era raggiungere e dare notizie da piccole città della provincia di Idlib, tutt’altro è documentare una battaglia ad Aleppo, una città il cui nome è entrato nel mito islamico, sin dai tempi delle Crociate. Terza e più importante ragione: la conquista di Aleppo permetterebbe all’esercito ribelle di avere un territorio omogeneo, geograficamente ben definibile e una loro capitale provvisoria. Di fronte a quest’ultimo obiettivo, persino l’operazione “Vulcano di Damasco” (conclusasi con la cacciata dei ribelli dalla capitale) appare come un mero diversivo. Quel che importa, all’Esercito Siriano Libero, è la costituzione di un’enclave, di un territorio da governare e presidiare, sufficientemente vicino ad uno Stato amico (in questo caso: la Turchia) a cui chiedere sostegno militare. Se dovesse nascere una sorta di “repubblica di Aleppo”, per gli interventisti dell’Onu (Usa, Francia e Regno Unito) sarebbe anche più facile chiedere un intervento finalizzato alla sua protezione. Era successo esattamente così con la Libia: la no-fly zone, poi estesa alla protezione dei civili anche da attacchi di terra, era stata fissata sullo spazio ben delimitato di Bengasi.

In quel caso i ribelli erano riusciti a conquistare una loro enclave nella Libia orientale e avevano la loro capitale. Proprio per evitare uno scenario libico, l’esercito regolare siriano ha sempre cacciato i ribelli dalle città, smantellando le loro roccaforti una dopo l’altra. Prima a Deraa (nei pressi della Giordania) poi a Homs e a Hama (entrambe vicine al Libano), adesso ad Aleppo. Assad vuole evitare che si ripeta lo stesso scenario che portò alla caduta di Gheddafi. Ma, almeno sotto un aspetto, la Damasco di oggi inizia ad assomigliare alla Tripoli di allora: le defezioni dal regime proseguono. Dopo la diserzione dell’ambasciatore in Iraq, ora si aggiunge quella del rappresentante a Cipro. E anche i diplomatici in Germania, Repubblica Ceca e Bielorussia mostrano evidenti segni di insofferenza.


di Stefano Magni