L'inferno chimico di Assad

mercoledì 25 luglio 2012


Il 12 luglio scorso, era stato rilevato da fonti dell’opposizione interna alla Siria, che gli arsenali di armi chimiche fossero in fase di trasferimento. Nawaf al Fares, l’ex ambasciatore siriano in Iraq, ora defezionista in Qatar, aveva denunciato il pericolo che potessero essere impiegate contro i ribelli. Il Pentagono aveva parzialmente smorzato l’allarmismo, sostenendo che il trasferimento di quelle armi di distruzione di massa fosse solo una mossa cautelativa, adottata dal regime per evitare che finissero nelle mani degli insorti o di gruppi terroristi. Ora invece abbiamo la certezza che si trattasse di altro: è una minaccia agli Stati vicini. Se dovesse esserci un intervento armato internazionale contro il regime di Damasco, Assad è pronto a scatenare l’inferno.

Chimico, in questo caso. Lo ha dichiarato lo stesso portavoce del Ministero degli Esteri siriano, Jihad Makdissi, nella conferenza stampa tenuta lunedì sera: «Tutti i tipi di armi depositate nei nostri arsenali sono sotto il diretto controllo delle forze armate siriane e non saranno mai usate, a meno che la Siria non diventi oggetto di un’aggressione esterna (corsivo nostro, ndr)». Questa frase contiene una rassicurazione (non useremo le armi chimiche contro il nostro popolo) e una minaccia (le useremo se ci sarà un intervento internazionale). E va letta assieme alle ultime notizie fornite dai dissidenti sul campo: la Siria starebbe trasferendo le sue armi di distruzione di massa a ridosso dei confini.

Contro chi potrebbe tirarle? Purtroppo per i Paesi confinanti e vicini, la Siria, grazie all’aiuto della Russia, della Cina e dell’Iran, possiede numerosi vettori in grado di lanciarle. Secondo le stime statunitensi, ha almeno quattro brigate di missili superficie–superficie tattici: una armata con missili Scud B, una di Scud C, una di Frog e una di SS–21 Scarab. Con questi vettori a sua disposizione, l’esercito siriano è in grado di colpire con testate chimiche bersagli fino a 550 km di distanza, tenendo sotto tiro gli interi territori della Turchia asiatica e di Israele. Finora nessuno ha parlato di un possibile intervento armato contro la Siria. E ora si può anche capire il perché. Tuttavia è bene ricordare che Saddam Hussein, quando era messo alle strette da americani, europei e arabi, nella Guerra del Golfo del 1991, lanciò i suoi Scud (convenzionali, in quel caso) soprattutto contro Israele, che pure non partecipava alla Coalizione sua nemica. La tentazione di attaccare lo Stato ebraico (a fini propagandistici, per attirare la solidarietà delle piazze arabe anti–sioniste) quando tutto sembra perduto potrebbe venire anche al regime di Assad. Specie se dovesse percepirsi chiuso in un angolo.

Lo sviluppo della guerra civile siriana sta prendendo una piega inquietante: per la prima volta l’aviazione siriana ha bombardato una città, Aleppo, per colpire i ribelli. Nello scorso fine settimana, infatti, i ribelli, oltre a continuare la loro operazione “Vulcano di Damasco” (per tentare di conquistare la capitale) hanno anche acquisito il controllo di diversi quartieri di Aleppo, la città maggiormente popolata del Paese. Il fatto che il regime di Assad abbia risposto facendo alzare in volo i suoi aerei è un brutto segnale: il regime inizia a percepirsi chiuso in un angolo. Israele, comprensibilmente, sta iniziando a prepararsi all’evenienza di un attacco chimico.


di Stefano Magni