Cuba: Payà è stato assassinato?

martedì 24 luglio 2012


Oswaldo Payà, dissidente cubano, insignito del premio Sacharov dell’Unione Europea nel 2002, candidato al premio Nobel per la Pace, è morto in un incidente stradale a Bayamo, Cuba orientale. Fondatore del Movimento Cristiano di Liberazione, era celebre soprattutto per il Progetto Varela, il più ambizioso programma di transizione di Cuba dalla dittatura socialista alla democrazia liberale. Il regime castrista non aveva mai dato tregua a Payà. Nel 1969 (quando aveva appena 17 anni) lo aveva internato in un campo di lavoro forzato. Una volta libero, il dissidente cattolico era tenuto strettamente sotto controllo ed è stato arrestato più volte.

L’incidente che lo ha ucciso è una fatalità o è stato provocato? L’Opinione ne ha parlato con Carlos Carralero, scrittore cubano in esilio, presidente dell’Unione per le Libertà a Cuba. Carlos Carralero, qualcuno sospetta che Oswaldo Payà sia vittima del regime e non di una fatalità? C’erano quattro persone a bordo della stessa auto di Oswaldo Payà. Il dissidente Harold Cepero è morto nello stesso incidente, risultano feriti, invece un cittadino svedese, il politico spagnolo Angel Carromero (del Partito Popolare) e un altro cubano. La testimonianza di quest’ultimo, quella rilasciata alla Cnn dalla figlia di Oswaldo Payà e quella del fratello del dissidente (che vive in Spagna), concordano su un’unica versione: è stato un altro veicolo a spingere l’auto fuori strada. La versione dei fatti è ancora imprecisa: si parla, a volte di camion, a volte di un’auto. C’erano avvisaglie di un possibile omicidio?

Già 20 giorni fa, mentre guidava dal centro dell’Avana all’aeroporto José Martì, Paya aveva denunciato un tentativo di omicidio: un veicolo aveva cercato di mandarlo fuori strada. In quell’occasione, il figlio di Payà lo aveva detto: «Papà, ti vogliono uccidere!». Le aggressioni e le minacce a lui e alla sua famiglia sono numerosissime, nel corso degli anni. Gli altri testimoni sopravvissuti cosa dicono? È stato impossibile ascoltare subito la loro versione dei fatti, perché sono stati ricoverati nell’ospedale cittadino di Bayamo, fortemente presidiato dalla polizia. Il rischio è che il regime formuli una sua versione dei fatti, magari dicendo che il veicolo incriminato fosse guidato da un ubriaco qualsiasi. Quale eredità lascia Payà al dissenso cubano? La pazienza, soprattutto. E la costanza. Soprattutto nel suo metodo di lotta: mai manifestazioni, mai violenza, solo denunce legali e rispetto alla lettera delle norme, per mettere in luce le contraddizioni del regime. Il Progetto Varela stesso rispetta il comma g dell’articolo 88 della Costituzione socialista, secondo il quale i cittadini possono proporre leggi dietro la presentazione di almeno 10mila firme.

Il Progetto Varela ha raccolto almeno 12mila firme. E questo in un regime repressivo, in cui chiunque firmi una petizione del genere, rischia il carcere. Payà non ha mai cambiato metodo, a costo di deludere i dissidenti. Io stesso, che avevo lavorato con lui per tre mesi, ho lasciato il suo movimento, perché trovavo che la sua forma di lotta non avrebbe potuto cambiare nulla. In effetti non ha cambiato nulla, finora. Ma ha dato un esempio di coerenza e costanza unici nel suo genere.


di Stefano Magni