Cri: in Siria è guerra civile

martedì 17 luglio 2012


Man mano che procede l’indagine dell’Onu sui fatti di Tremseh, in provincia di Hama, nella Siria occidentale, emerge una verità molto differente dai primi racconti. Il regime di Damasco continua ad affermare di non aver impiegato armi pesanti per colpire il villaggio. Ma la missione di osservatori delle Nazioni Unite ribadisce quel che era già stato affermato dal comandante dei caschi blu Robert Mood: ci sono le prove dell’uso di armi pesanti. « Sono state impiegate diverse armi, inclusa l’artiglieria, mortai ed armi leggere», ha dichiarato ieri Sausan Ghosehh, portavoce della missione internazionale.

Tuttavia gli stessi rapporti Onu smentiscono anche la prima ricostruzione data dalle organizzazioni di insorti e dai dissidenti di Hama: quella di un massacro indiscriminato di civili è una tesi che non regge. «Gli obiettivi sembrano essere stati un gruppo specifico di case, principalmente di disertori dell’esercito e di attivisti», anti-Assad, ha detto Ghosehh. Ed anche il New York Times, che era stato il primo quotidiano occidentale a tentare di ricostruire la vicenda, è tornato sui suoi passi. Mentre in un primo momento aveva parlato di omicidio di massa di civili (circondati, bombardati, uccisi mentre cercavano di scappare), ora il quotidiano newyorkese pubblica una lista parziale di vittime in cui risultano tutti maschi e in età adatta al combattimento. Tranne poche eccezioni, fra cui un bambino di appena 6 anni, tutti gli altri caduti hanno dai 19 ai 36 anni. Case distrutte in modo mirato e vittime in età da militare sono due indizi che suggeriscono una sola cosa: si è trattato di una battaglia, non di un eccidio.

Tremseh, comunque, sta già provocando le sue brave conseguenze. Prima di tutto ha rivitalizzato l’insurrezione (mai sopita) nella capitale Damasco. Già da mesi si combatteva nei sobborghi. La settimana scorsa si sono verificati i primi combattimenti di guerriglia urbana a cui il regime ha dovuto rispondere dispiegano carri armati. Ieri si sono svolti feroci combattimenti nel quartiere di Midas, già teatro di un sanguinoso attentato, ma sinora, tutto sommato, considerato “sicuro” per il regime.

Sul fronte diplomatico, l’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan, che si era detto “deluso” dal comportamento di Bashar al Assad, ora tenta di risalire direttamente alla radice della questione. Trattando con Vladimir Putin, protettore militare di Assad, in una due-giorni diplomatica a Mosca. Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha subito messo le mani avanti. All’arrivo di Annan ha rilasciato precise dichiarazioni alle agenzie internazionali: la politica del Cremlino sulla Siria non cambierà di una virgola, la bozza di risoluzione Onu proposta dalle potenze occidentali è «ricattatoria», perché contiene una minaccia di sanzioni.

Il vero elemento di novità, a livello internazionale, è dato dalla posizione della Croce Rossa. Che per la prima volta, ieri, ha riconosciuto il conflitto siriano come una guerra civile. Anzi conflitto “non internazionale” secondo il linguaggio politicamente corretto usato dall’organizzazione. Ciò implica che la Croce Rossa, d’ora in avanti, avrà maggior possibilità, non solo di assistere i feriti, ma anche di denunciare tutte le future ed eventuali violazioni delle leggi di guerra. Perché di guerra si tratta.


di Stefano Magni