L'ossimoro messicano di Pena Nieto

martedì 3 luglio 2012


Una rivoluzione istituzionalizzata è un ossimoro. Ma il partito messicano che tenta di conciliare questi due concetti opposti, è stato al potere per 70 anni, governando con metodi autoritari il Paese centro–americano. Ora, il Partito Rivoluzionario Istituzionale (Pri) è di nuovo in sella, dopo 12 anni filati di opposizione. Merito di un candidato giovane e molto popolare, Enrique Pena Nieto, che promette di essere molto diverso rispetto ai suoi predecessori. E colpa di una guerra al narcotraffico, condotta con metodi militari dal presidente uscente Felipe Calderon, che ha provocato 50mila morti in 6 anni e non ha affatto fermato la crescita del commercio illegale di droga.

La prima paura degli osservatori internazionali è ritorno, sia pur velato, di una dittatura messicana. Il Pri, in passato, non ha mai instaurato un regime autoritario propriamente detto. Ma è sempre stato insostituibile. In 70 anni di governo ininterrotto, ha creato attorno a sé una rete di clientele, corruzione e collusione con i cartelli della droga. E questo spiega perché, nel 2000, il presidente riformatore Vincente Fox, del Partito di Azione Nazionale (Pan), sia stato eletto a pieni voti. Dopo 12 anni di anni di governo del Pan, le istituzioni del Messico sono profondamente mutate. E un ritorno al vecchio autoritarismo è reso ancor più difficile dai legami internazionali con gli Usa e il Canada, sviluppati da Fox e dal suo successore Calderon. Paradossalmente questa opera di democratizzazione ha spianato la strada alla vittoria del Pri. Dopo 12 anni, i messicani non temono più di ritornare sotto una velata dittatura. E dunque hanno votato per l’unica pratica alternativa al Pan, tanto più che ora è rappresentata da un candidato giovane che ha ricevuto l’endorsment persino dallo stesso ex presidente Vincente Fox. 

Il secondo fattore che può preoccupare gli statunitensi, ma evidentemente rassicura i messicani, è la disponibilità di Nieto a porre fine alla guerra alla droga, per lo meno ai metodi militari che l’hanno caratterizzata in questi sei anni. Nel 2006, Felipe Calderon aveva vinto con un solo punto di margine sul suo rivale di estrema sinistra, l’ex Pri Andrès Manuel Lopez Obrador, la versione messicana di Hugo Chavez. Sia per compensare la sua vittoria risicata, sia per dare un segnale forte all’opinione pubblica sulla lotta alla droga, Calderon aveva lanciato la sua guerra al narcotraffico. Col risultato che gli attuali aspiranti presidenti hanno condotto la loro campagna elettorale facendo a gara a chi era più distante dal programma di Calderon. Con 50mila morti sulla coscienza, persino la candidata del Pan, Vazquez Mota, ha dovuto promettere un approccio più soft alla guerra alla droga. E l’ex presidente Fox (sempre del Pan) aveva già sconfessato la politica del suo successore negli anni scorsi, arrivando a proporre, per la prima volta, la legalizzazione della vendita di droghe leggere. Nieto ha raccolto i voti soprattutto nelle regioni in cui il narcotraffico è più forte. Ciò non lo rende necessariamente “l’uomo dei narcos”, come accusa l’opposizione. Ma sicuramente un capo di Stato che promette pace e molti più compromessi. Sarà una resa nei confronti del narcotraffico o una nuova frontiera della politica sulla droga. 


di Giorgio Bastiani