O'Sullivan contro l'eurofeticismo

venerdì 29 giugno 2012


È sempre più difficile parlare serenamente di crisi dell’euro, perché l’euro stesso è diventato un «feticcio», come constata John O’ Sullivan, ex speechwriter di Margaret Thatcher e attuale direttore di Radio Free Europe. Salvare la valuta comune a tutti i costi, per salvare il progetto di unità europea, introducendo una maggior centralizzazione nella gestione delle politiche fiscali ed economiche: sembra proprio questa la strada a senso unico proposta nei 18 summit tenutisi negli ultimi due anni.

La rigidità sulla valuta comune, ideologica più ancora che economica, non regge alla prova dei fatti, come sottolinea bene O’Sullivan, nel suo ultimo editoriale pubblicato ieri sulla rivista statunitense National Review. Come tutti gli euro–scettici fanno notare, una valuta comune difficilmente può funzionare nel Vecchio Continente, dal momento che mancano tre caratteristiche fondamentali: la flessibilità salariale (assente in Francia e nella maggior parte dei sistemi di welfare continentale), una grande mobilità della forza lavoro (ostacolata da leggi nazionali) e la disponibilità a trasferire fondi dai Paesi ricchi a quelli più poveri (inevitabile, se si creano grandi asimmetrie).

La prima critica che O’Sullivan muove alla politica condivisa dalle élite europee è la sua mancanza di prospettive realistiche: «Il massimo che si potrà ottenere è la stabilizzazione, non la soluzione della crisi – scrive O’Sullivan – Mentre i Paesi dell’Ue mediterranea rimarranno blindati in vertiginosi tassi di cambio imposti dall’euro, rimarranno anche chiusi in un’austerity senza fine. Allo stesso tempo, i Paesi nordici dell’Ue saranno condannati a pagare un fiume inesauribile di denaro ai loro cugini poveri. Questo meccanismo assicurerà una perdita di benessere a entrambe le parti in causa. E, a lungo termine, trasformerà interi Paesi, quali l’Italia, la Grecia, la Spagna, in un immenso Mezzogiorno (in italiano nel testo, ndr) o in una grande Germania Est per decenni». La mancanza di alternative alla proposta di una maggior centralizzazione, per O’Sullivan, è solo una forma di «istituzionalizzazione dello storicismo»: l’idea fissa che certi processi siano «ineluttabili», in quanto dettati da un presunto «corso della storia». Tutte le ideologie basate sullo storicismo sono entrate in conflitto con la democrazia. E in effetti, come constata il direttore di Radio Free Europe, l’eurozona è già vittima di un deficit democratico. «Il rimedio incarnato nell’unione fiscale, sostanzialmente prevede che i governi nazionali sottopongano a Bruxelles i loro bilanci per l’approvazione, prima ancora di presentarli ai loro parlamenti nazionali».

In questo modo, gli Stati membri cesserebbero di essere governati democraticamente in materia fiscale «che costituisce il 90% di una politica nazionale». Non è detto che una politica centralizzata a Bruxelles sia gradita dalle popolazioni locali. Basti vedere al trionfo di partiti estremisti e populisti in Grecia: è la reazione scomposta ad una politica calata dall’alto. Eppure soluzioni alternative, benché rischiose, esistono. Come quella di far uscire il marco tedesco dall’euro (come proponevano ieri due economisti di Chicago dalle colonne del New York Times), o adottare due valute, un “euro1” forte e un “euro2” più svalutato, che dia respiro alle economie più deboli. L’importante è iniziare a discuterne. Almeno discuterne.


di Stefano Magni