Nuova escalation di violenza in Siria

venerdì 29 giugno 2012


La crisi siriana è entrata in una nuova fase di escalation. Tre esplosioni, causate da altrettante bombe applicate al fondo di auto parcheggiate, hanno devastato l’area del palazzo di giustizia di Damasco. E intanto la Turchia schiera più truppe sul confine meridionale, in seguito all’abbattimento del suo F–4 Phantom.

Le bombe contro la corte di giustizia non hanno provocato gravi danni ai palazzi circostanti e avrebbero causato appena il ferimento di tre persone, stando ad un bilancio ancora provvisorio. Ma hanno avuto un forte impatto psicologico, data la loro vicinanza al cuore del potere siriano. Di sicuro, non costituiscono il primo atto di terrorismo nella capitale. Basti ricordare il duplice attentato nel Sud della città, avvenuto il 10 maggio scorso, con decine di morti e feriti. O ancora: l’attacco di un terrorista suicida nel centralissimo quartiere di Midane, che provocò 11 morti il 27 aprile scorso. Dalla primavera in poi, insomma, la capitale siriana è sempre più bersaglio di una forma diversa di violenza rispetto a quella dell’insurrezione: il terrorismo organizzato. È un indice di come, precipitando la situazione, gruppi jihadisti, anche legati ad Al Qaeda (che ha rivendicato le bombe del 10 maggio), stiano intervenendo in modo più massiccio. La rivoluzione contro Assad non può che subirne le conseguenze peggiori. Politiche, prima di tutto, perché il regime siriano coglie queste occasioni per additare al mondo il pericolo del fondamentalismo terrorista. “Dopo di noi il diluvio di violenza” è l’argomento che i lealisti possono invocare di fronte alla comunità internazionale. E gli alleati del regime danno seguito a queste tesi: la Russia, proprio ieri, suggeriva, quale soluzione alla crisi, di creare un governo di unità nazionale che includa anche lo stesso Bashar al Assad. Inutile dire che una proposta di questo genere non trovi sponde, né nelle forze ribelli (che non intendono trattare con il dittatore, dopo 10mila e passa morti provocati dalla repressione militare), né dallo stesso Kofi Annan, inviato delle Nazioni Unite per la Siria. Annan, nel suo piano di pace, propone un governo di unità nazionale, ma alla condizione che non includa “personalità compromesse” con le violenze di questo anno e mezzo. Alla fine, la violenza terrorista dei gruppi jihadisti produce solo un ulteriore stallo, dovuto alla radicalizzazione dei fronti contrapposti.

Nel frattempo gli scontri si stanno intensificando, anche nei sobborghi della stessa capitale. Secondo fonti vicine all’opposizione, l’esercito regolare avrebbe provocato 22 morti nella sola mattinata di ieri.

In mezzo a tutta questa tensione intra–siriana, i turchi rafforzano la loro frontiera meridionale, mandando rinforzi e nuove batterie anti–aeree a ridosso della Siria. Dopo l’abbattimento dell’F–4, Erdogan mostra chiaramente l’intenzione di non voler subire passivamente altri incidenti militari. Non vi sono sintomi di un conflitto imminente, ma solo la volontà di mostrare i muscoli. E questo creerà ancor più conflittualità all’interno della Siria. Il regime assediato, dentro e fuori dai suoi confini, si farà ancor meno scrupoli a far ricorso alla forza bruta per tentare di conservare il potere.


di Maria Fornaroli