Perché Rio+20 è nato già morto

venerdì 22 giugno 2012


Rio+20, parte il Summit della Terra a 20 anni di distanza dalla prima edizione del 1992. L’obiettivo è sempre quello: trovare una formula condivisa per lo “sviluppo sostenibile”. In 20 anni si è combinato poco. «Per troppo tempo – ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki–moon – abbiamo creduto di poter consumare risorse all’infinito per sostenere la nostra prosperità. Adesso abbiamo capito che non può più essere così». Eppure, sin dal primo giorno del summit, molte delle Ong ecologiste parlano di “fallimento”. Anche i media, come minimo, definiscono “difficile” il raggiungimento degli obiettivi del summit. Ma i motivi per cui si può parlare, sin da ora, di una morte annunciata e prematura dell’iniziativa, sono probabilmente diversi da quelli citati dalle Ong.

La presunta “avidità” dei governi viene additata come possibile causa di fallimento del summit. Cina e Usa si chiamano fuori. Solo la Francia, a guida socialista, si ripropone di promuovere un nuovo organismo internazionale, un’Organizzazione Mondiale per l’Ambiente, con maggiori poteri di intervento rispetto all’attuale Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Ma se quest’ultimo manca di fondi, chi vorrebbe finanziare un’organizzazione nuova e ancor più impegnativa? Non è tanto la presunta “avidità” che fa mancare il sostegno politico. Quanto la natura stessa delle idee in ballo. Al Rio+20 è stata sottoposta una lista di 100 proposte “concrete”, stilata da una molteplicità di organismi politici, non governativi e accademici. Se andiamo a leggerle, di “concreto” si trova ben poco. Un quarto delle proposte suggerisce di “promuovere” qualcosa (biodiversità, istruzione, acqua più pulita per tutti, diritti nuovi, ecc…), ma senza specificare con quali fondi. In nessun caso, fra le proposte, si rintraccia la parola “profitto”. Dunque tutto deve essere realizzato a titolo “gratuito” (leggasi: con i soldi dei contribuenti) dai governi. Le proposte spaziano dalla ricostruzione, di sana pianta, delle città secondo linee urbanistiche più ecologiche all’incoraggiamento dell’uso della bicicletta (sic!), passando per suggerimenti surreali, come: «Ridurre la povertà promuovendo la diversità bioculturale» (?) o «Migliorare le infrastrutture sanitarie e idriche per garantire l’istruzione primaria» (??). Si trovano anche tematiche palesemente fuori–tema, come la garanzia di pari diritti a gay, lesbiche e transgender (inquinano meno?) e una serie di diritti per i migranti. Di sicuro è incomprensibile, per chiunque abbia una qualche nozione di economia, la proposta di «vietare» l’uso dei dati sulla crescita del Pil per misurare il benessere di una nazione. Quali menti hanno partorito delle idee simili? Ronald Bailey, il corrispondente a Rio dell’americana Reason Magazine, ci aiuta a capirlo. Girando fra gli stand del “Summit dei Popoli” (che gravita attorno al summit dell’Onu) ha incontrato solo militanti dell’estrema sinistra: marxisti che si definiscono con orgoglio “ortodossi leninisti” e una pletora di collettivi che aspirano a sradicare il capitalismo. Non c’è spirito di proposta, solo di vendetta: trovare un nuovo modo di combattere il capitalismo dopo il collasso dell’esperimento sovietico. 


di Stefano Magni