Wisconsin, dove i progressisti spariscono

domenica 10 giugno 2012


La riconferma del governatore Scott Walker, dopo le elezioni di "recall" nel Wisconsin, ha sollevato l'ira funesta dei commentatori progressisti, come se Obama in persona fosse stato battuto sul campo.

Tom Barrett, lo sfidante democratico, era un politico di medio livello, un amministratore locale (sindaco della città di Milwaukee) e non certo una star del partito dell'asinello. Il presidente non si è sprecato un granché nella campagna elettorale: un tweet e poco più. Eppure gli opinion maker di sinistra, adesso che hanno perso, ritengono di essere stati sconfitti in uno scontro epocale. «Il Wisconsin sembrava essere il luogo in cui gli americani progressisti, finalmente, avrebbero potuto tracciare una linea oltre alla quale non sarebbero più passati i legislatori anti-sindacali, i tagliatori di spesa pubblica, gli estremisti del Tea Party e i plutocrati come i fratelli Koch», scrive Tom Hayden, sul "The Nation". Charles Pierce, su "Esquire", non esita a descrivere il governatore Walker nei termini usati, abitualmente, dai bolscevichi nei primi anni '20 contro i loro nemici: «Un omuncolo dallo sguardo vitreo, assunto dalla Koch Industries per dirigere la sua filiale, precedentemente nota con il nome di stato del Wisconsin». Ora, ritiene Pierce, quello stato, dovrà subire «I metodi dell'oligarchia» capitalista. Le politiche di Scott Walker, secondo Katrina vanden Heuvel di "The Nation" servono a «Far piazza pulita di tutti i cittadini che non guadagnano o non pensano come lui». E secondo Joan Walsh, di "Salon", ha «Conquistato il Wisconsin per consegnarlo ai plutocrati».

I progressisti non soffrono tanto per la singola sconfitta regionale nel Wisconsin, quanto per la causa della sconfitta. Scott Walker, infatti, ha battuto Barrett mantenendo le promesse di tagliare la spesa pubblica, far pagare ai dipendenti statali più contributi per la sanità e le pensioni e, infine ma non da ultimo, ridimensionare il potere dei sindacati. Riducendo la contrattazione collettiva ai minimi termini ed eliminando l'obbligo di foraggiare i sindacati con le ritenute in busta paga dei salari pubblici.

Di base, quella del Wisconsin è una sconfitta del lavoro organizzato. Ed è questo il vero incubo del mondo progressista: sta venendo meno la loro unica vera base. I sindacati avevano speso 400 milioni di dollari nelle elezioni del 2008 per sostenere la candidatura di Barack Obama. Più della metà degli iscritti sono impiegati statali. I sindacati dei lavoratori pubblici si foraggiano attraverso la ritenuta obbligatoria, in busta paga, di parte dello stipendio dei loro iscritti. E il ciclo si chiude: gli impiegati pubblici, pagati con le tasse, sono i finanziatori obbligati di Obama. È un trasferimento indiretto e inconsapevole di centinaia di milioni di dollari dal contribuente al Partito Democratico.

Con le riforme di Walker nel Wisconsin, questo ciclo è stato interrotto, almeno in quello stato. E i progressisti, adesso, temono di veder crollare tutta la loro struttura. Alimentano il terrore di famelici "oligarchi" e "plutocrati", puntano il dito contro i fratelli Koch, i due magnati dell'industria sponsor (volontari) del movimento Tea Party, anche per celare il fatto che i loro "poteri forti", i sindacati, sono sempre più impopolari.

Un sondaggio della Marquette University mostra che il 75% degli elettori del Wisconsin fosse a favore di un aumento dei contributi degli impiegati pubblici, per sanità e previdenza. Il 55% è dell'idea che si possa anche fare a meno della contrattazione collettiva. Quanto ai sindacati degli insegnanti (una buona parte dei tagli alla spesa pubblica praticati da Walker, riguarda proprio l'istruzione), godono del giudizio positivo di appena il 21% della popolazione e del 43% (una minoranza) degli insegnanti stessi.

Tom Barrett, il candidato democratico che si era fatto portavoce della causa sindacale, ha ottenuto la maggioranza dei voti dei loro iscritti. Ma non tutti: il 38% dei lavoratori pubblici sindacalizzati ha votato per Walker. E d'altra parte le riforme liberiste del governatore repubblicano hanno prodotto già una riduzione della disoccupazione (in un periodo in cui, nel resto del Paese, è in crescita) dal 7,7% dell'anno scorso al 6,8% attuale, ben al di sotto dell'8,2% nazionale. L'economia dello stato ha creato 23mila nuovi posti di lavoro in un anno di governo "anti-sindacale".

Il declino dei sindacati non è un fenomeno nuovissimo in America. Grover Norquist, mostra nel suo "Leave us Alone" i dati completi degli iscritti alle organizzazioni dei lavoratori nel settore privato. E vediamo che sono cresciuti dal 7,7% sul totale degli impiegati del 1901 al 39% del 1958 (anno della loro massima espansione), per poi declinare gradualmente e tornare a un 7,8% del 2005. Quella dei grandi sindacati, negli Usa, è una parabola ormai conclusa. Il Wisconsin è stata una batosta simbolica, sintomatica di questa crisi di consensi, anche nel settore pubblico.

«I sindacati del settore privato erano in declino già da decenni - scrive Bill Galston, sul "The New Republic" - una decadenza iniziata sin da quando l'economia americana, egemone negli anni dell'immediato dopoguerra, ha iniziato a subire la competizione, prima dell'Europa e del Giappone, poi anche quella del mondo in via di sviluppo. I sindacati nel settore pubblico, invece, hanno retto finché i budget statali sono rimasti isolati dai trend macroeconomici. Ma quei giorni sono finiti e il rischio di dipendere dal buon cuore di una classe media sempre più tassata sta diventando sempre più visibile». I contribuenti stanno evidentemente iniziando a ribellarsi. E i progressisti, col collasso del loro apparato, hanno paura di scomparire. Oggi nel Wisconsin, domani in tutti gli Usa.

«È una vera crisi istituzionale per i sindacati e per i Democratici - ammette a denti stretti Tom Hayden, di "The Nation" - la più grande sconfitta dai tempi dei conflitti degli anni '60 (…) la fonte principale del finanziamento delle campagne dei Democratici, il lavoro sindacalizzato, rischia di estinguersi e non è in vista alcuna alternativa».


di Stefano Magni