In Siria si muore, ma nessuno interviene

venerdì 8 giugno 2012


A meno di due settimane dal massacro di Hula, Qubair e Maarzaf, due villaggi della provincia di Hama, nella Siria occidentale, hanno subito un eccidio. Testimonianze locali parlano di 86 vittime, fra cui molte donne e tanti bambini. Secondo l'opposizione, Qubair e Maarzaf sono stati colpiti dalle truppe regolari, con carri armati e artiglieria. Poi sarebbero entrate in azione le milizie pro-regime, i paramilitari "shabiha" e avrebbero completato l'eccidio con esecuzioni di massa. La Tv di Stato siriana nega tutto, parla di appena 9 morti e attribuisce la colpa a "terroristi" legati all'opposizione. Gli osservatori dell'Onu non erano presenti nell'area e fino a ieri pomeriggio, molte ore dopo la tragedia, non sono riusciti ad ottenere l'accesso ai due villaggi colpiti. Secondo quanto denuncia Robert Mood, il comandante degli osservatori Onu, è l'esercito siriano che impedisce ogni verifica. Truppe siriane avrebbero anche sparato sugli osservatori, secondo quanto denuncia Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite. L'azione dell'esercito regolare è una conferma indiretta che Damasco ha la coscienza sporca.

Il massacro di Qubair e Maarzaf sta già provocando conseguenze politiche ben visibili. Il Consiglio Nazionale Siriano (il governo ombra in esilio a Istanbul) ha proclamato due giorni di lutto nazionale. La Lega Araba sollecita il Consiglio di Sicurezza dell'Onu a intervenire al più presto. 

Le democrazie occidentali più impegnate nella crisi siriana hanno dato per valido il resoconto delle fonti di opposizione. Il premier britannico David Cameron ha condannato l'ultimo massacro «nauseante e brutale» di civili in Siria e ha chiesto una «azione concertata» della comunità internazionale contro il regime del presidente Bashar al Assad. Cameron ha detto che la strage nella provincia di Hama è la prova che il regime di Assad è «completamente illegittimo e non può durare». Il segretario di stato Usa, Hillary Clinton, ha definito «inaccettabile» la violenza esercitata contro la popolazione siriana dal regime del presidente Bashar al Assad. Ha indicato il precedente dello Yemen quale esempio per una possibile transizione politica in Siria. «Ci sono voluti molti sforzi e molte pressioni», ha detto in una conferenza stampa al termine della riunione del Global Counterterrorism Forum di Istanbul, «ma alla fine il presidente Saleh ha lasciato il potere». La Clinton ha anche detto che gli Usa sono pronti a lavorare con la Russia per una possibile conferenza sulla transizione in Siria.

La Shanghai Cooperation Organization (che include sia Russia che Cina) ha rilasciato ieri una dichiarazione congiunta: «Ci opponiamo a un intervento armato o a un cambio di regime forzato e disapproviamo le sanzioni unilaterali». Con questa agenda, Russia e Cina si sono presentate ieri sera, al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Kofi Annan propone di creare un "gruppo di contatto" costituito da grandi potenze. Ma non c'è alcun accordo nemmeno sulla sua composizione: la Russia preme perché ne faccia parte anche l'Iran. Ma gli Usa pongono il veto, d'accordo con tutti i Paesi arabi sunniti del Golfo Persico. La diplomazia internazionale appare ancora in stallo, incapace di prendere decisioni. L'unica parola, sul campo, spetta ancora alle armi.


di Stefano Magni