L'Occidente rompe con Bashar al Assad

mercoledì 30 maggio 2012


Mentre Kofi Annan, inviato dell'Onu, discuteva con il dittatore Bashar al Assad, in Italia, così come in tutte le democrazie occidentali, i diplomatici siriani venivano espulsi uno dopo l'altro. Il massacro di Hula (nella Siria occidentale) ha segnato un punto di non ritorno, non solo per la rivolta siriana, ma anche per le cancellerie di tutti i Paesi democratici.

Di quel che è successo a Hula stanno emergendo nuovi raccapriccianti dettagli. Alcuni dei sopravvissuti hanno raccontato al personale delle Nazioni Unite che molte vittime della strage sono state uccise in esecuzioni sommarie compiute da milizie fedeli al regime di Bashar al-Assad. Secondo l'Alto commissariato dell'Onu per i diritti umani, Rupert Colville, la maggior parte delle vittime è stata giustiziata «in due differenti incidenti». Una ventina delle 108 vittime «dell'atroce massacro» di Hula in Siria, sono state uccise da «colpi di artiglieria e dal fuoco sparato dai carri armati». 

La prima reazione politica è arrivata dalla Francia. Il presidente siriano Bashar al-Assad «è l'assassino del suo popolo. Deve lasciare il potere», ha detto il ministro degli Esteri Laurent Fabius. E il presidente François Hollande ha preannunciato l'espulsione dell'ambasciatore siriano da Parigi. La Francia non è la sola: Regno Unito, Spagna, Germania, Belgio, Olanda, Canada, Stati Uniti e anche l'Italia stanno tutti rompendo con Damasco, espellendo gli ambasciatori siriani. Bernard Henry Levy, filosofo liberale, sprona la leadership francese ad un'azione decisiva, come in Libia. «La Francia farà per Hula e Homs quello che ha fatto per Bengasi e Misurata - scrive Levy in una lettera aperta pubblicata su diversi quotidiani europei - (Hollande, ndr) Si avvarrà della sua forte credibilità personale, e di quella del nostro Paese, per tornare dai nostri alleati di ieri e, con loro, con la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la lega Araba e la Turchia, concordare una strategia che vada al di là del 'pieno sostegno al piano Annan'?».

Un intervento militare occidentale è ancora fuori discussione. Ma c'è già chi sta agendo. Dalla parte di Assad. È il caso dell'Iran. Come è già noto, la Repubblica Islamica continua a fornire ad Assad aiuti militari e civili. Ma non solo. Secondo l'agenzia semi-ufficiale Isna, che cita il brigadiere generale Ismail Ghaani, le forze Qods (emanazione della Guardia Rivoluzionaria di Teheran) hanno una «presenza effettiva» in Siria, al fianco delle truppe regolari. Secondo l'ufficiale, non hanno preso parte al massacro di Hula. Anzi, uno dei loro compiti sarebbe proprio quello di impedire massacri di civili. Resta il fatto che: «Nonostante tutti i problemi del suo governo, la Siria è un punto di resistenza - dichiara Ghaani - La ragione di tutta questa pressione da parte di Usa e Israele deriva dal fatto che questi Paesi hanno realizzato di non poter occupare la Siria». L'intervista è stata rimossa dal sito della Isna poco dopo la sua pubblicazione, anche se è tuttora visibile (anche tradotta in inglese) su molti altri siti Internet. Se quel che dice Ghaani è autentico proverebbe un'elementare verità: l'Iran sta puntellando il regime siriano, perché è il suo baluardo contro l'Occidente, prima di tutto contro Israele. E mentre l'Onu dorme e le democrazie si limitano alle proteste, Teheran tutela (militarmente) i suoi interessi, tutt'altro che pacifici.


di Stefano Magni