Obama tentenna sui matrimoni gay

domenica 20 maggio 2012


La carta dei matrimoni gay è stata giocata da Barack Obama la settimana scorsa, per entrare nel vivo del dibattito sui diritti civili nella campagna elettorale. Il problema è che può rivelarsi un boomerang. E non tanto perché gli americani, in fondo, sono conservatori sui valori tradizionali. Quanto perché mette in discussione il federalismo degli Stati Uniti. Secondo un sondaggio pubblicato sul "New York Times", il 67% degli intervistati ritiene che la dichiarazione di Obama, a favore delle unioni di cittadini dello stesso sesso, sia "politicamente motivata". E d'altra parte, vien da chiedersi, dove era il presidente in questi quattro anni? Perché solleva la questione del diritto dei gay al matrimonio, solo alla vigilia di una possibile rielezione?

Nel 2008, nella campagna elettorale che precedette la sua elezione, Obama si era dichiarato contrario. Il quotidiano "Politico", subito dopo l'ultima dichiarazione del presidente, erano stati pubblicati tutti i precedenti: uno slalom gigante. Eppure la questione è forte, non è uno di quei temi su cui si possa cambiare idea troppo alla leggera. Una prima ipotesi sull'ultima sterzata di Barack Obama l'ha fatta il quotidiano conservatore "New York Post", con un articolo a firma di Michael Goodwin: il presidente sarebbe stato costretto a uscire allo scoperto su questo tema dal suo vicepresidente, Joe Biden, che due giorni prima si era detto a favore del diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso.

Tanto è vero che lo stesso Biden si è poi scusato con il suo superiore per averlo costretto a "fare outing". Michael Barone, su Real Clear Politics, ritiene che Obama stia mantenendo un atteggiamento più fermo sulla questione omosessuale perché molti dei suoi sponsor e donatori più ricchi sono dichiaratamente gay. Sempre secondo Barone, l'opinione pubblica americana è sempre più favorevole, quantomeno tollerante, all'idea di una famiglia omosessuale. Martedì scorso, il North Carolina ha votato ancora per il suo divieto, ma il 39% di quell'elettorato (particolarmente religioso e conservatore) ha votato contro la proibizione. Una percentuale notevole e impensabile fino a pochi anni fa. Insomma, valutando costi e benefici della dichiarazione, ora a un presidente progressista conviene dire "sì". Barack Obama tiene a catturare il consenso di due categorie, giovani e afro-americani, artefici principali del suo trionfo nel 2008. Sulla questione delle nozze gay, questi due gruppi sono ai poli opposti: i giovani sono molto a favore, gli afro-americani tendenzialmente contrari.

Anche se in mutamento: come rileva il "The Atlantic", il 54% degli afro-americani dichiara di approvare la dichiarazione del presidente. Un grande cambiamento rispetto al 2008. Ma esiste sempre un 46% di contrari e indecisi che deve essere riconquistato. Forse anche per questo, il presidente ha dichiarato che quello delle nozze gay è sì un diritto, ma a legiferare in merito devono rimanere sempre i singoli stati. Pochi notano la contraddizione insita in questa posizione politica. Charles Krauthammer, nel suo fondo sul "Washington Post" di venerdì l'ha invece sviscerata: se si afferma un diritto civile, la legislazione è nazionale. Nessuno stato può violarlo. Obama ha invece lasciato intendere un altro concetto: quello dell'empatia nei confronti dei gay e della loro legittima aspirazione a sposarsi con persone del loro stesso sesso e inclinazione sessuale.

In questo caso il presidente esprime una preferenza, si ritaglia un ruolo ispiratore che può essere liberamente seguito o no dai singoli stati. Ma allora… che cosa cambia rispetto ad oggi? Nulla. Perché anche oggi, ciascuno stato americano è libero di legalizzare il matrimonio gay, se la sua popolazione lo vota. Se dovesse essere affermato come diritto, al contrario, gli stati più conservatori potrebbero benissimo ribellarsi e far causa all'amministrazione. Perché verrebbe calpestato un loro diritto, sarebbe ignorato un principio di scelta democratica e metterebbe in discussione il federalismo. L'unico sistema che consente, a un cittadino libero, di trasferirsi laddove sono più condivisi i suoi valori.


di Stefano Magni