sabato 19 maggio 2012
Domani inizierà a Chicago il tanto atteso summit della Nato. Ma il pensiero di tutti è già rivolto a un'altra città: Kabul. L'agenda del summit pone la missione afgana in primo piano. Il tempo scorre rapido, ma la situazione sul terreno è ancora critica: solo ieri, altri due militari della Nato sono stati uccisi in un bombardamento di razzi, scatenato dai Talebani nella provincia orientale di Kunar. Gli attentati sono all'ordine del giorno e i Talebani sono stati in grado di lanciare ben due attacchi ben coordinati nel cuore di Kabul negli ultimi mesi. Però entro il 2014 la missione Isaf (a guida Nato) si dovrà ritirare e non vi è alcuna indicazione che questa data possa essere posticipata per ragioni di sicurezza. Anzi: il ritiro potrebbe addirittura subire una brusca accelerazione per cause interne alla Nato.
Negli Usa, il 16 maggio, un gruppo bipartisan di 86 membri del
Congresso ha chiesto al presidente Obama un ritiro accelerato. La
Francia, che con Sarkozy aveva potenziato il suo contingente, con
Hollande potrebbe chiamarsi fuori. È difficile che opti per un
disimpegno integrale e rapido, perché la pressione sulla Francia
sarà molto forte. Un ritiro prematuro delle truppe di Parigi
lancerebbe il segnale sbagliato: un disfacimento dell'alleanza. Una
cosa è quasi sicura: l'Isaf non potrà più contare su forze d'élite
francesi dispiegate nelle aree più calde della guerriglia.
Anche se dovesse decidere di mantenere gli uomini in campo,
Hollande potrebbe ritirarsi dalle azioni belliche, come oggi fanno
già turchi, spagnoli e tedeschi, presenti come peacekeeper e non
come truppe combattenti. Ma non esiste ancora un esercito nazionale
afgano in grado di subentrare alla missione Isaf e di reggere, da
solo, la pressione della guerriglia talebana. Quindi, anche se
dovesse essere rispettata la scadenza del 2014, come fare a
impedire una presa del potere dei vecchi nemici nei mesi o anni
successivi? Il summit di Chicago dovrà concordare una exit strategy
che permetta un passaggio di consegne efficiente al nuovo esercito,
ma non solo. Dovrà stabilire un meccanismo di cooperazione fra
l'Alleanza e il governo di Kabul, per garantire (a distanza) la
sicurezza dello Stato. Su questo punto, la Russia e il Pakistan
(entrambi confinanti) sono particolarmente importanti. La Nato
dovrà riuscire a ottenere da loro una promessa di partnership. O
per lo meno di non-ostilità nei confronti progetto.
Questo risultato sarà più facilmente raggiungibile con la Russia, che ha tutto l'interesse a non veder risorgere un Afghanistan talebano ai suoi confini meridionali. Ma non con il Pakistan, che negli anni '80 ha usato i Talebani contro gli indiani e i sovietici, nei '90 li ha appoggiati nella presa del potere a Kabul e nel corso della lunga guerra afgana, pur condannandoli ufficialmente, li ha armati e sostenuti. O meglio: l'Isi, il potente servizio segreto pakistano, con o senza il consenso di Islamabad, li ha armati ed equipaggiati nelle incontrollabili aree di confine. Per questo, parlare del Pakistan come di un possibile partner nel sostegno all'esercito afgano, lascia abbastanza perplessi. È un po' come affidare al piromane il compito di spegnere l'incendio che lui stesso ha appiccato.
di Stefano Magni