giovedì 3 maggio 2012
La storia, come la politica, non è quasi mai un percorso lineare. Procede a forza di accelerazioni e brusche frenate, deviazioni dalla norma, episodi curiosi. Il Tea Party, movimento popolare entrato in scena nel 2008, risultando poi determinante per il trionfo repubblicano nelle mid-term elections del 2010, sembra aver percorso una traiettoria simile. Prima ignorato, poi attaccato e vilipeso dai media mondiali, questo fenomeno sembrava in grado di cambiare per sempre le regole della politica. Poi, come se niente fosse, è scomparso dalla cronaca, sostituito dal rumoroso e spesso violento circo di Occupy Wall Street. Molti sono stati fin troppo rapidi a decretarne la prematura fine, prima di accorgersi che il partito repubblicano aveva fatto proprie le richieste del movimento: il Tea Party è cresciuto, si è fatto sistema, fino a cambiare la narrativa delle elezioni di novembre. Lontano dagli sguardi occhiuti dei media ufficiali, il movimento americano ha ispirato una serie di imitatori, più o meno fedeli o interessati, a quasi tutte le latitudini. Dai primi tentativi dell'estate 2009 in Francia, falliti nel giro di pochi mesi, si è passati ad episodi in Russia ed Israele, sponsorizzati da partiti politici per provare a sfruttare l'onda mediatica, svaniti presto nel nulla. Altrove, invece, il metodo e la pratica del Tea Party hanno attecchito, iniziando un faticoso percorso di radicamento in realtà aliene all'etica e alla morale protestante alla base del movimento a stelle e strisce. Libertari, conservatori, liberali classici si sono messi in gioco, con alterne fortune. Dopo quasi due anni di lavoro nascosto, la rete internazionale dei Tea Party ha deciso di venire allo scoperto, con un weekend di mobilitazione sotto la bandiera del Worldwide Tea Party (wtp2012.com). È stato scelto il Tax Day per dare il via alla particolare road map, così, dal 14 al 17 aprile, si sono tenuti eventi in tutto il mondo uniti da una sola e chiara richiesta: «Meno stato», che si traduce nella riduzione senza se e senza ma della spesa pubblica, dell'ingerenza dello stato nelle vite dei cittadini ed il drastico taglio delle tasse che rischiano di far collassare l'economia di molti paesi.
L'idea è partita dal Tokyo Tea Party, un gruppo che, senza far troppo rumore, ha già fatto eleggere un buon numero di amministratori locali navigando in un sistema fondamentalmente reazionario come quello giapponese. I primi a rispondere sono stati i Tea Parties più esperti, Australia, Italia, Argentina, seguiti a ruota da gruppi neonati ma bellicosi come quello polacco ed israeliano. A fare da madrina, stando attenti a non far sentire troppo il proprio peso, una delle organizzazioni di coordinamento Usa, i Tea Party Patriots. Le manifestazioni del Worldwide Tea Party sono state diversissime tra loro, mostrando che questo abbozzo di movimento mondiale risponde ancora a logiche locali. A Tokyo l'evento ha riempito un palazzetto, con gran dispendio di mezzi, musica, spettacoli. L'Asahi Shimbun, secondo quotidiano del paese, ha seguito con attenzione l'evento. In Australia, il movimento, impegnato in una dura campagna contro la carbon tax, ha scelto un approccio molto più soft, che ha però coinvolto attivisti da tutto il paese. Il Tea Party Italia ha deciso di lasciare mano libera ai gruppi locali, che hanno risposto entusiasticamente: a partire dal 14 aprile si sono svolti ben dieci eventi in tutto il centronord tra convegni, banchetti, incontri: Milano, Lodi, Varese, Padova, Trieste, Parma, Torino, Asti, Camaiore, Lucca. Secondo gli organizzatori, la partecipazione di persone è stata superiore alle aspettative, un centinaio per ogni tappa, anche in realtà difficili come Toscana ed Emilia Romagna, per non parlare della sala gremita ad Asti: cinquecento persone per ascoltare il confronto fra Martino, Moles, Galan e il movimento. Altri movimenti stranieri hanno partecipato talvolta in maniera simbolica ma la notizia rimane: in dieci paesi, alcuni dei quali nettamente ostili al verbo liberista, migliaia di persone si sono riunite gridando forte «Taxed Enough Already».
Nel pieno della crisi del debito, di un welfare state non più sostenibile, dell'eccessiva gestione politica e regolamentazione del mercato, la presenza internazionale di gruppi organizzati che chiedono limited government e fiscal responsability non può cadere inosservata, ancora di più in Italia, dove la risposta al Worldwide Tea Party è stata la più entusiasta, tanto da proseguire le tappe per tutto il mese di aprile nel pieno di un dibattito pubblico centrato unicamente su questi temi, tasse e spesa pubblica. Per il Tea Party non è certo con più Stato che si risolverà la crisi, e per tutto il mese hanno insistito sull'unica ricetta: ridurre la spesa per ridurre le tasse. Che la spending review del governo fosse in agenda appena dopo il mese del Worldwide Tea Party è casuale, ma almeno adesso i commissari Bondi e Giavazzi non possono nascondersi dietro la scusa che i tagli di spesa sono scelte impopolari, il Tea Party Italia non aspetta altro. Nonostante l'ostilità dei media e le bugie sparse a piene mani, il movimento è presente e in forte crescita ovunque. Il Worldwide Tea Party non è più solo un sogno ad occhi aperti o una rete virtuale. Decine di migliaia di persone hanno sfidato la dittatura del pensiero unico statalista, affermando che non è con tasse ancora più draconiane o stampando moneta che si uscirà da questa depressione, che sono pronti ad assumersi i rischi del libero mercato, piuttosto che morire di eccessiva spesa pubblica e tasse. Ovunque si è parlato di una mobilitazione dei produttori, della lotta contro i parassiti che stanno strangolando intere nazioni. Molto resta da fare, ma la lunga marcia è iniziata. E poi, come sapevano bene i padri fondatori della repubblica statunitense, non ci vuole la maggioranza per fare una rivoluzione. Un uomo coraggioso è già una maggioranza.
di Luca Bocci