Sarkò e il declino della grandeur francese

venerdì 27 aprile 2012


In attesa dell'esito del ballottaggio, da più parti si parla e si analizza la parabola politica di Nicolas Sarkozy. Un unicum nel secondo dopoguerra francese. Un uomo di destra, sicuramente conservatore, che ha però abbandonato il "vecchio stampo" gollista, per inserire in maniera esplosiva la mediacità all'interno dello schivo conservatorismo d'oltralpe.

A questo nuovo approccio, non ha mancato di aggiungere (mutuandolo dall'estrema destra), un pizzico di populismo identitario e patriottico. Per non farsi mancare nulla al momento della "questua elettorale". Insomma, Sarkò è stato, ed è tutt'ora, il capofila nonché l'inventore di una nuova destra francese, quella degli anni Duemila. Risulta semplice, anche se di fatto l'estrazione culturale segna un oggettivo abisso fra i due, il parallelismo fra il marito di Carla Bruni e Silvio Berlusconi. Entrambi figli della comunicazione, l'italiano per averla trasformata ed utilizzata, il francese per aver accettato la sfida di cavalcarla per lo scopo finale del raggiungimento del consenso.

Delle sue origini politiche e della strada percorsa in Francia dal primo Presidente della Repubblica nato dopo la Seconda Guerra Mondiale, ne parla il giornalista Guido Caldiron, nel suo libro "I fantasmi della République - La Francia al tempo di Sarkozy", pubblicato da Manifestolibri. Dieci capitoli per descrivere la Francia e il "cuneo" utilizzato dal leader dell'Ump per capire e sfruttare politicamente tutti i difetti e le criticità provocate dal degrado sociale, economico e politico che ha investito la Francia a partire da Chirac. 

Sarkozy si mostrò alla Francia come difensore dell'Europa e allo stesso tempo come difensore dell'identità francese, definendo l'Unione come una "Europa che rappresenta il futuro, ma è troppo grande e ancora troppo incerta, troppo debole".  Era il 2007 ma, con il senno di poi, un intento piuttosto lucido di quello che avrebbe nuovamente detto e fatto in futuro. Il legame e l'appoggio di cui ora gode da parte della Cancelliera plenipotenziaria, Angela Merkel, deriva anche da questo imprinting propositivo e culturalmente egemonico che la Francia, come del resto la Germania, vorrebbe dare all'Unione. Un'Europa costruita e gestita sulla falsa riga delle vecchie (e grandi) potenze del blocco centrale. La Spagna arranca, il Regno Unito si è chiamato in certa misura fuori dai giochi, l'Italia (tranne l'attuale parentesi "bancaria") è sempre stata considerata come un Paese senza identità e gli unici che possono dare un indirizzo sicuro e di grandeur al Vecchio continente sono proprio Francia  e Germania.

Al di là della politica estera, il messaggio interno di Nicolas è stato sempre quello di voler attrarre la maggior parte della Francia "bene", affermando che la sicurezza e la tranquillità sono un diritto inalienabile e da raggiungere con qualsiasi mezzo. Una pratica machiavellica che lo ha portato anche a dover limitare indiscriminatamente l'immigrazione.

Un atteggiamento, quello da "poliziotto", che però gli ha fatto dimenticare (ove non fosse riuscito a gestirlo) la tragica flessione della qualità di vita dei cittadini francesi, schiacciati dalla crisi economica e dalla riduzione dello stato sociale. 


di Francesco Di Majo