Possiamo davvero andarcene nel 2014?

martedì 17 aprile 2012


L'offensiva primaverile dei Talebani si è conclusa solo ieri mattina, dopo quasi due giorni di combattimenti nel cuore di Kabul. Il bilancio ufficiale, ancora provvisorio, parla di 47 morti. Fra cui i 36 attentatori suicidi talebani, 8 poliziotti afgani e 3 civili. Altre 65 persone, tra cui 25 civili, sono ferite. La conta delle perdite non deve trarre in inganno: i Talebani erano tutti pronti al suicidio e le perdite esigue che hanno inflitto alle forze di sicurezza afgane devono essere considerate assieme all'importanza degli obiettivi colpiti, nel cuore di Kabul, la capitale afgana. Basi Nato, edifici governativi e sedi di ambasciate occidentali sono apparsi tutti obiettivi estremamente vulnerabili. E tutto ciò avviene a meno di otto mesi dal raid autunnale dei Talebani, anche quello lanciato nel cuore di Kabul contro molteplici obiettivi diplomatici, militari e politici. «I miliziani sono arrivati dove volevano arrivare - commenta una fonte dell'agenzia Asia News - hanno colpito dove volevano colpire; poi sono stati presi a loro volta, come doveva essere. Quanto accaduto dimostra che possono fare quello che vogliono».

I Talebani, in questo caso, rivendicano una vendetta contro tutti gli atti occidentali che hanno provocato un'ondata di odio in Afghanistan: il video dei quattro marine che profanano i cadaveri dei guerriglieri uccisi, il rogo di copie del Corano nella base americana di Bagram e l'uccisione di 16 civili a Kandahar da parte di un sergente statunitense uscito di senno (e attualmente sotto processo negli Usa). Benché la propaganda talebana stia capitalizzando questi episodi, non si deve rimanere prigionieri della logica "azione-reazione". Quella degli jihadisti è una guerriglia continua, costante, che prosegue dal 2001 e che fa vittime soprattutto fra gli afgani, come è avvenuto in quest'ultimo attacco. Il loro disegno non riguarda solo la cacciata degli occidentali dal Paese, ma la riconquista del potere, tenuto da loro, con pugno di ferro, dal 1996 al 2001. Il governo di Kabul, all'indomani dell'attacco, ha lamentato un «fallimento dell'intelligence» della Nato. Queste accuse agli alleati sono in linea con il rinnovato rancore anti-occidentale che ha caratterizzato tutte le sue dichiarazioni recenti, soprattutto dopo il rogo delle copie del Corano a Bagram e soprattutto dopo la strage di Kandahar. L'attacco multiplo a Kabul dimostra, invece, che un ritiro occidentale potrebbe essere prematuro. Se non altro perché lancerebbe ai Talebani il messaggio sbagliato. L'amministrazione Obama sta pagando la pubblicazione di un calendario del ritiro. Sapendo che ci sono solo 2 anni di guerra da combattere, i guerriglieri del Mullah Omar sono spinti ad attaccare ancor più duramente, così da spacciare un disimpegno occidentale nel 2014 come una loro vittoria jihadista. Barack Obama, che sin dal 2008 considera l'intervento in Afghanistan come "guerra di necessità" (contrapposta alla "guerra per scelta" in Iraq), che ha sempre promesso un maggior impegno per Kabul, a spese di una ritirata da Baghdad, attualmente sembra mosso solo da una volontà di chiamarsi fuori dal conflitto. Se dovesse vincere le elezioni, avrebbe ancora due anni di tempo per ritornare sulle sue promesse iniziali. Perché l'alternativa è: regalare la vittoria ai Talebani.


di Stefano Magni