II
POLITICA
II
Queste strane primarie
al posto dei congressi
Cinque luoghi comuni
che piacciono tantoal Pd
Rai, l’occupazione
silenziosa è partita
occupazione della Rai da par-
te del Pd? No problem. Tace
“
Articolo 21” di Beppe Giulietti.
Dopo Mario Monti sabato a
Che
tempo che fa
,
Fabio Fazio lunedì
ha proposto Pier Luigi Bersani e
Matteo Renzi a commentare i ri-
sultati delle primarie, battendo sul
tempo il duello diretto di mercoledì
sulla Rete Uno che si era fatta bru-
ciare da Sky nel confronto tra i cin-
que candidati alla consultazione di
partito. Una trasmissione non gior-
nalistica precede i telegiornali. È
una coincidenza allora che Tg5 ab-
bia superato Tg1 delle 20? Tace an-
che il nuovo segretario del sinda-
cato dei giornalisti Rai, appena
eletto al congresso di Salerno. Dopo
aver parlato tanto assieme al se-
gretario uscente Carlo Verna, al-
l’insegna dello slogan “Riprendia-
moci la Rai”, Vittorio Di Trapani
della scuderia Mineo si trova in pie-
no conflitto d’interessi. Come fe-
steggiare il doppio successo: quello
personale e quello del compagno
Bersani? Accettando che la Rai tiri
la volata per il ballottaggio di do-
menica 2 dicembre. Se la campagna
degli ultimi 20 giorni è stata intensa
ed ha spinto la gente ad andare ai
gazebo lo si deve anche alla mobi-
litazione dei media. Valutando i ri-
sultati l’outsider Laura Puppato è
stata laconica: «Certo l’interesse in-
torno a noi è stato molto, ma sono
stata penalizzata dall’onnipresenza
L’
sui media di Bersani e Renzi». Una
massiccia dose di politica che ha
rianimato il popolo Pd. E la Rai
non è voluta essere assente. Ma così
facendo si è veramente risvegliato
l’interesse degli italiani per la poli-
tica? Dimenticati i guai economici,
gli scandali, la corruzione? Anche
la Rai aveva bisogno di un’iniezio-
ne di ricostituente, in attesa di af-
frontare settimane che non si pre-
vedono facili. Pd ad ogni
trasmissione, dalla mattina a notte
fonda. Lo stato di salute dell’azien-
da continua però ad essere pessimo.
Il sindacato dei giornalisti Rai e il
nuovo vertice saranno chiamati ad
affrontare l’impatto del nuovo pia-
no industriale dell’azienda di viale
Mazzini che prevede tagli e ridi-
mensionamenti, a partire dai pro-
grammi delle Reti alla radiofonia,
dalle sedi estere a quelle regionali
e che toccherà anche le “consocia-
te”. Tempi cupi e di ristrettezze che
dopo aver perduto un mare di di-
ritti televisivi sportivi (a rischio c’è
anche la Formula1) dovrà attrez-
zarsi per la battaglia della soprav-
vivenza: il rinnovo della conven-
zione con lo stato per il
riconoscimento che la legittima ada
avere il canone. Nel mese di dicem-
bre incombono due appuntamenti
di rilievo, due nomine pesanti.
Quella del direttore della rete ca-
pofila e quella di direttore del Tg1.
SERGIO MENICUCCI
Ilva di Taranto ha chiuso gli
impianti. L’azienda ha anche
annunciato il blocco degli altri
stabilimenti. La decisione è arri-
vata dopo un’ondata di arresti e
il sequestro della produzione degli
ultimi quattro mesi. L’accusa ri-
guarda tangenti e complicità nel
tacere sull’inquinamento. Nelle
carte dei magistrati anche il nome
di Vendola, il governatore della
Puglia.
Ma lo scacchiere politico va
anche oltre, arriva al numero uno
del Pd, Pier Luigi Bersani. Intanto
cinquemila lavoratori dell’area a
freddo resteranno senza lavoro. È
questa la lapidaria comunicazione
della direzione aziendale alle sigle
sindacali dopo l’incontro urgente
nello stabilimento. L’Ilva non ga-
rantirà più nemmeno per la richie-
sta degli ammortizzatori sociali.
Inizialmente i dipendenti dovran-
no usufruire delle ferie da smalti-
re, è questa la reazione dopo le or-
dinanze restrittive eseguite dalla
Guardia di Finanza su ordine del
Gip di Taranto nei confronti dei
vertici della società (ricordiamo
che Emilio Riva era già ai domi-
ciliari e il figlio Fabio è stato tra-
dotto in carcere) di politici e fun-
zionari pubblici.
Le accuse variano dall’associa-
zione per delinquere, al disastro
ambientale, alla concussione. I
provvedimenti giudiziari si incro-
L’
ciano con un’inchiesta parallela a
quella per disastro ambientale che
il 26 luglio scorso ha portato al
sequestro degli impianti dell’aria
a caldo del siderurgico. Ora l’in-
tera produzione stoccata in zona
portuale è sotto sequestro preven-
tivo. Lo scontro si fa dunque du-
rissimo e il governo giovedì pros-
simo riceverà a Palazzo Chigi
sindacati ed azienda. La palla pas-
sa al governo, che si trova a dover
affrontare una situazione tutt’altro
che semplice. Anche perché è sem-
pre più evidente il contrasto tra il
ministro dell’Ambiente Corrado
Clini e la procura tarantina. «Chi
oggi si assume la responsabilità di
far chiudere l’Ilva, si assume anche
la responsabilità di un rischio am-
bientale che potrebbe durare an-
ni». Così il ministro è intervenuto
duramente sugli sviluppi dell’in-
chiesta sull’Ilva, travolto dalle no-
tizie che provengono da Taranto
mentre era al tavolo con autorità
cinesi per un incontro sulla
green
economy
,
a Venezia. Ma intanto,
tra gli operai dell’Ilva, tensione e
preoccupazione viaggiano di pari
passo con la disperazione. Partito
lo sciopero proclamato da Fim,
Fiom e Uilm, già si registrano mo-
menti di tensione dopo l’annuncio
della decisione aziendale di chiu-
dere lo stabilimento di Taranto e
di tutti quelli del gruppo diretta-
mente collegati, cioè di Genova,
Novi Ligure e Racconigi. Gli ope-
rai sono in presidio permanente
davanti i cancelli della fabbrica e
dentro lo stabilimento dopo che
l’Ilva ha disattivato i tesserini ma-
gnetici dei lavoratori. La Fiom li
ha invitati a non abbandonare lo
stabilimento. Per uscire dal blocco
potrebbe essere decisivo l’incon-
tro, quello programmato per gio-
vedì prossimo a Roma dove il go-
verno ha convocato le parti sociali
ed i rappresentanti delle istituzioni
locali l’appuntamento è alle ore
15
a Palazzo Chigi. Intanto con-
tinuano ad emergere particolari
sull’intreccio tra affari e politica,
a vari livelli, da Vendola al parla-
mentare Vico, dal presidente della
Provincia, Gianni Florido, al sin-
daco, Ezio Stefàno, a Bersani. L’in-
treccio, che viene fuori dalle circa
800
pagine delle 3 ordinanze che
hanno provocato il terremoto a
Taranto, getta ombre lunghe so-
prattutto sulla classe dirigente io-
nica. È il gip Patrizia Todisco a ri-
costruire, con fiumi d’inchiostro,
i molteplici contatti.
Tutto parte da quando, nel
marzo 2007 viene presentata al
ministero dell’Ambiente, la ri-
chiesta dell’Ilva di rilascio del-
l’Autorizzazione Integrata Am-
bientale, per la cui procedura
Arpa e Provincia ricoprivano un
ruolo fondamentale.
VITO PIEPOLI
Ilva: rischiano il posto in 5000
Cresce la tensione aTaranto
di
GIOVANNI F. ACCOLLA
ulle primarie del centrosinistra (ancora
scrivo centro, ma non dovrei, visto che
Tabacci ha dichiarato di essere molto più di
sinistra di altri candidati), concettualmente
non la penso come Grillo, ma poco ci manca.
Sono senz’altro importanti, ma del tutto au-
toreferenziali. Sono state, comunque sia, un
congresso di partito mascherato, appena più
allargato e senz’altro mediaticamente più ef-
ficace. Se gli elettori di sinistra ci son cascati,
ben per loro e bene per la coalizione che ha
raccolto una gran quantità di quattrini. Ciò
nonostante, qualche non banale riverbero
politico in campo nazionale, ancora lo po-
trebbero avere: se vincesse Renzi (tanto non
succede) la scena generale potrebbe davvero
mutare, così pure se il sindaco di Firenze,
conscio della sua forza, rompesse con il Pd
bersaniano - fisiologicamente sempre più
schiacciato sulle istanze del popolo di Ven-
dola - per virare definitivamente al centro, la
strada verso la composizione delle forze po-
litiche per le elezioni sarebbe ben diversa.
Sull’estrema sinistra, per altro, l’arancione
sembra più rosso del rosso: il partito “giu-
stizia e libertà” è oramai nato e, se cancellerà
definitivamente Di Pietro, qualche grattacapo
potrà darlo anche a quelli del Sel.
Sul fronte del centrodestra Giorgia Me-
loni, rompendo gli indugi (e finalmente eman-
cipandosi da Gasparri, La Russa e colonnelli
vari), che le primarie si facciano o meno, ha
mostrato coraggio, senz’altro, ma anche una
certa intelligenza politica: è diventata nel giro
di pochi giorni il Matteo Renzi del centro-
destra che tanto mancava. Comunque vada
S
-
che Berlusconi faccia una sua lista è ormai
quasi certo - non sarà più la “giovane Melo-
ni”, ma un leader nazionale con cui fare i
conti. Certo, anche su questo versante… pri-
marie di che? Questo è un vero (legittimo)
assalto alle vecchie gerarchie del partito, non
attraverso un congresso ma con nuove mo-
dalità. E, a mio avviso, ce ne era bisogno. Ma
tanto da una parte che dall’altra, il centro -
a dire il vero - non c’è più, almeno è sempre
meno definito. Ci sono illustri esponenti più
centristi (si definiscono moderati) da ambo
gli schieramenti, ma il vero discrimine per
l’immediato futuro, al meno mi pare, è - per
sintetizzare - tra montiani e antimontiani.
E, alla lunga, la convivenza tra gli uni e gli
altri, all’interno del medesimo schieramento,
esploderà. Se, per dire, Alfano non chiarirà
la sua posizione rispetto all’agenda Monti,
dentro il Pdl è prevedibile che per alcuni espo-
nenti sarà difficile rimanere con una mera
posizione dissenziente: il Pdl non può mica
essere la Dc di un tempo! Medesima questio-
ne si pone nel centrosinistra, qualora le pri-
marie le vincesse Bersani con l’ausilio deter-
minante dei voti dei Vendola. Fioroni,
Gentiloni, Morando, Tonini, Ceccanti che fa-
ranno? Poi ci sono le grandi manovre al cen-
tro di corpi distinti: Casini, Riccardi, Mon-
tezemolo, sigle sindacali e cattoliche varie.
Alla fine troveranno una sintesi (loro senza
l’ausilio delle primarie) e se l’offerta sarà al-
lettante, probabilmente Monti ci metterà il
cappello. Quando? Quando il parlamento
partorirà la legge elettorale. Fino ad allora è
tutta melina, guerra di posizione, rapporti di
forza e rese dei conti. In tutti gli schieramenti,
nessuno escluso.
di
MARCO FATTORINI
e primarie? Un bagno di democra-
zia”.
Certo. Ma i votanti sono stati
poco meno del 2009. Un problema di parte-
cipazione c’è stato e non può essere nascosto
sotto il tappeto della propaganda. Ai seggi
democratici si è presentato un discreto nu-
mero di persone. Nessun incremento, nè tan-
tomeno un boom. Le cause sono tante: asten-
sionismo, insoddisfazione, e regole
macchinose che hanno scoraggiato alcuni e
sbarrato la strada ad altri.
“
Nessuna irregolarità, è stato un voto se-
reno”.
È vero, le votazioni sono andate avanti
senza problemi, eccezion fatta per resse che
create in alcuni seggi, emblematica la fila di
due ore sostenuta da uno spazientito Matteo
Renzi. Nella fase di scrutinio, però, qualcosa
è andato storto. E parecchio. Non è normale
che ad un certo punto i dati abbiano smesso
di essere aggiornati a quota 3990 seggi su ol-
tre 9.000. In ballo decine di migliaia di voti,
città, regioni e percentuali. Il tutto oscurato
e sospeso, nell’attesa di chiarimenti “ufficiosi”
giunti con mostruoso ritardo. Perché?
“
Ha stravinto Bersani”.
Vero, si è imposto
in quasi tutti i capoluoghi di regione (Perugia
e Firenze escluse), ha conquistato il Sud, te-
nendo le roccaforti del centro. Peccato non
si possa parlare di vittoria schiacciante da-
vanti ad un competitor che, senza appoggi
della nomenclatura piadina, è arrivato a sfio-
rare il 40%, ponendo una serie di questioni
politiche per il futuro.
“
Eh, ma Renzi ha fatto il boom”.
Renzi
è indietro ed è il primo a sapere che al bal-
lottaggio sarà durissima colmare il gap che
“
L
lo separa da Bersani. Perché i voti di Vendola
sono pronti a confluire in massa nel serbatoio
del segretario, così come parte di quelli di
Puppato e Tabacci. Il sindaco rottmatore ha
vinto in Toscana, è andato forte in Emilia
Romagna, ha sorpreso nel Nord per poi spro-
fondare nel Mezzogiorno d’Italia. Le carenze
sono molte (e note), il risultato è importante.
Parliamo di un outsider che in pochi, ai piani
alti del Pd, hanno sostenuto o anche solo tol-
lerato.
“
Il Pd è più forte grazie a queste prima-
rie”.
L’affermazione, recitata a memoria dai
dirigenti dem, è quantomeno discutibile. Il
partito rischia infatti una spaccatura netta,
quasi bipolare. Da una parte il fronte bersa-
gliano: vertici nazionali e ramificazioni locali,
tanto apparato e schiere di militanti, quasi
tutti fedeli alla linea di Pigi. Dall’altra parte
però, si ingrossano le fila della minoranza
renziana che, al netto delle truppe cammel-
late, incarna, da oggi, una fetta importante
del Pd. Minoranza snobbata e non rappre-
sentata dal gruppo dirigente. Uno scollamen-
to tra rappresentati e base elettorale che non
può non destare qualche perplessità.
Segreti di Pulcinella o semplici dichiara-
zioni buone per ogni evenienza? Poco impor-
ta. Il dato chiaro è che le primarie hanno dato
una boccata d’ossigeno decisiva al centrosi-
nistra, rivelandosi antidoto (non il solo) per
combattere l’antipolitica. Checché ne dica
Grillo, le consultazioni hanno riacceso una
fiammella di entusiasmo tra i cittadini. In-
globando pure toni trionfalistici e professioni
di fede retorica che abbiamo passato in ras-
segna. Ma i luoghi comuni piacciono. E le
mezze stagioni no, non ci sono più.
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 28 NOVEMBRE 2012
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