ivoluzione egiziana 2.0? Dopo
il decreto presidenziale che
conferisce a Mohammed Morsi po-
teri simili a quelli di un dittatore,
decine di migliaia di egiziani sono
scesi di nuovo in piazza Tahrir (al
Cairo) e in altre città del Paese.
Questa volta, a giocare dalla parte
dei repressori, ci sono i Fratelli Mu-
sulmani. Fra i nuovi insorti pro-de-
mocrazia e gli islamisti sono già
scoppiati scontri domenica: 1 morto
e 60 feriti a Damanhour, sul delta
del Nilo. La manifestazione poten-
zialmente più pericolosa potrebbe
essere quella prevista per oggi: i Fra-
telli Musulmani hanno indetto una
“
marcia di un milione di uomini”
davanti all’Università del Cairo. E
non saranno i soli: anche gli oppo-
sitori si raduneranno in gran nume-
ro. Sul futuro dell’Egitto torna l’om-
bra della guerra civile e i mercati
accusano il colpo: nella sola gior-
nata di domenica, la Borsa egiziana
ha registrato una perdita del 10%,
recuperata solo in parte nel corso
del lunedì.
Mohammed Morsi, per distin-
guersi dal dittatore Mubarak, si
muove con una prudenza e una vo-
lontà (almeno apparente) di dialogo
molto superiori. Domenica ha vo-
luto parlare anche ai suoi oppositori
ed ha assicurato pubblicamente che
il decreto presidenziale sarà limitato
nel tempo. Ieri si è incontrato con
i magistrati e ha confermato loro
R
lo stesso concetto. Il decreto preve-
de, infatti, che i provvedimenti del
capo dello Stato non possano essere
annullati dalle corti di giustizia, che
la prossima Assemblea Costituzio-
nale, una volta eletta, non potrà es-
sere sciolta per ordine della magi-
stratura, che il procuratore generale
venga nominato direttamente dal
presidente e che lo stesso capo dello
Stato possa assumere poteri straor-
dinari per difendere l’integrità e la
sicurezza nazionale. Tutte queste
norme sono state scritte apposta
per evitare il ripetersi del “golpe
bianco” della scorsa primavera,
quando la magistratura egiziana,
d’accordo con l’esercito e in seguito
ad un ricorso in appello, sciolsero
l’Assemblea Costituzionale per vizi
della legge elettorale. Morsi, dun-
que, vuole garantire alla prossima
Assemblea un periodo di tranquil-
lità, in cui portare a termine la ste-
sura della nuova legge suprema,
senza dar la possibilità ad altri po-
teri (leggasi: magistrati e militari)
di intervenire a gamba tesa nel pro-
cesso. Ma non è solo e non è tanto
per questi dettagli che gli egiziani
iniziano ad aver paura. Ma per le
possibili finalità non confessate del
presidente Morsi. Con un decreto
di questo tipo, il capo dello Stato
potrebbe benissimo ritagliarsi un
potere autoritario e non mollarlo
più. Il movimento dei Fratelli Mu-
sulmani, poi, non è affatto nato
“
democratico”, lo è diventato solo
in tempi recenti, dopo essere sem-
pre stato all’opposizione o nella
clandestinità. Infine, ed è questo
quel che conta, si scontrano due
visioni opposte dell’Egitto. I Fra-
telli Musulmani sono dichiarata-
mente islamisti e vogliono imple-
mentare la legge coranica, a
partire dalla sua applicazione al
diritto di famiglia. Un programma
del genere, applicato da un potere
dittatoriale, cosa è se non un “re-
gime islamico”? I cristiani (e buo-
na parte delle donne laiche) hanno
diritto ad avere paura.
(
ste. ma.)
II
ESTERI
II
Catalogna: gli indipendentisti sonomaggioranza
di
STEFANO MAGNI
rima di tutto: in Catalogna gli
indipendentisti hanno vinto la
maggioranza assoluta del parlamen-
to catalano. Benché i titoli sulla
stampa italiana dicano l’esatto op-
posto, queste elezioni amministrative
hanno portato alla conquista di 87
seggi (su 135) da parte di formazio-
ni politiche dichiaratamente favo-
revoli alla secessione della Catalogna
dalla Spagna. Per essere precisi, Con-
vergenzia i Uniò (CiU) ne ha 50,
Esquerra Republicana de Catalunya
(
Erc) ne ha 21, Candidatures d’Uni-
tat Popular (Cup) ne ha 3 e Inicia-
tiva per Catalunya Verds (Icv) ne ha
altri 13. Dunque, se la matematica
non inganna, sono 87 parlamentari.
E, se nemmeno la politica inganna,
tutti questi partiti hanno votato a
favore della Risoluzione 742 del 24
settembre scorso, che impegnava la
nuova Giunta, uscita dalle prossime
(
dunque: queste) elezioni, a indire
un referendum sull’indipendenza en-
tro la fine della legislatura.
Il punto critico di questo discor-
so (ed è questa la causa dei titoli sui
quotidiani italiani) è la perdita di
consensi di Artur Mas, leader di
CiU, che aveva 62 seggi ed oggi esce
indebolito dopo averne persi 12. Sic-
come era Mas il principale propo-
nente del referendum per l’indipen-
denza e aveva chiesto una chiara
maggioranza al suo partito per in-
dirlo, allora è forte la tentazione di
affermare “l’indipendentismo ha
perso” assieme a Mas. Non è così
semplice, però. Perché, se CiU ha
P
perso leggermente terreno, è anche
vero che altri partiti indipendentisti
lo hanno guadagnato: Erc ha con-
quistato 11 seggi in più, Icv ne ha
presi 3 in più, il Cup, dopo i primi
successi in precedenti elezioni mu-
nicipali, ha corso per la prima volta
ed è entrato in parlamento con tre
deputati. Quindi, i partiti filo-indi-
pendentisti (contando i 12 seggi per-
si da CiU) conquistano 5 seggi in
più rispetto allo scorso parlamento.
Bisogna anche considerare per-
ché i catalani abbiano deciso di sca-
ricare Mas e votare altri partiti. Il
leader del CiU si è detto indipenden-
tista solo da quest’anno. Fino al
2011,
infatti, era favorevole ad una
maggiore autonomia, non alla se-
cessione. Con la Spagna in piena cri-
si economica e un quinto della po-
polazione disoccupata, lo scenario
è drasticamente cambiato e Artur
Mas si è radicalizzato. L’opinione
pubblica catalana ha dato chiaris-
simi segni di insofferenza, soprat-
tutto con la grande manifestazione
indipendentista di Barcellona dello
scorso 11 settembre, a cui ha parte-
cipato 1 milione e mezzo di cittadini.
Tuttavia, mentre altri partiti (come
l’Erc) vogliono fare il referendum
entro il 2014, assieme alla Scozia, il
CiU è più vago nella sua tabella di
marcia e preme per una consulta-
zione “entro la legislatura”, quindi
nei prossimi 4 anni. Solo quest’anno
il CiU si è messo alla prova del voto
con un programma dichiaratamente
secessionista e ha subito un calo di
voti. Ma l’elettorato che ha perso è
deluso perché Artur Mas è diventato
troppo indipendentista? O perché
lo è troppo poco? Ad una prima
analisi del flusso di voto sembrereb-
be più corretta la seconda ipotesi,
considerando che quel che è stato
perso dal CiU è stato guadagnato
dall’Erc, quasi nella stessa misura.
E, se mettiamo assieme tutti i partiti
pro-secessione, come abbiamo visto,
il risultato è addirittura positivo per
gli indipendentisti. Altrettanto non
si può dire per il Partito Popolare,
la più unionista delle forze politiche:
guadagnando un solo seggio, resta
sostanzialmente stabile, non guada-
gna affatto elettori delusi dal CiU.
Stesso discorso vale per il Partito
Socialista (anch’esso pro-Madrid,
anche se più federalista rispetto ai
Popolari): perdendo 8 seggi dimo-
stra che non è riuscito a fidelizzare
elettori di sinistra che, evidentemen-
te, hanno preferito la causa dell’in-
dipendentismo.
L’altra difficoltà (che giustifica,
almeno in parte, i titoli sulla stampa
italiana) è di natura politica: i quat-
tro partiti indipendentisti riusciran-
no a dialogare o a formare un go-
verno di coalizione per chiedere il
referendum? Una vittoria chiara del
CiU avrebbe risolto il problema alla
radice e spianato la strada ad un re-
ferendum, entro i prossimi 4 anni.
Ora, invece, si deve aprire una fase
negoziale difficile fra partiti che de-
finire eterogenei è poco. Il CiU è un
partito moderato, di centro-destra,
formatosi dalla fusione di due for-
mazioni, una liberale, il Cdc e l’altra
conservatrice, l’Udc. La componente
liberale prevale, considerando anche
che lo stesso Artur Mas proviene dal
Cdc, il partito ereditato da Jordi Pu-
jol, storico leader che ha guidato la
Catalogna per ben 23 anni (1980-
2003)
e tuttora in carica dopo essere
stato rieletto nel 2010. Ed è proprio
la componente liberale quella che
preme di più per passare da un pro-
gramma autonomista ad uno più
smaccatamente indipendentista. In
tempo di crisi economica, però, la
vita è difficile per qualsiasi partito
liberale e, in genere, per chiunque
difenda il libero mercato. Questo
spiega (oltre alla titubanza di ap-
poggiare un referendum entro l’an-
no, come abbiamo visto), il motivo
del perché molti indipendentisti ab-
biano scelto formazioni più di sini-
stra. Come l’Erc, storico partito nato
ai tempi della Repubblica Spagnola
del 1931, protagonista dell’indipen-
dentismo ai tempi della Guerra Ci-
vile (1936-1939) e messo al bando
ai tempi della dittatura di Francisco
Franco che ne seguì (1939-1975):
anche oggi mantiene intatta un’ideo-
logia di sinistra democratica, la stes-
sa che animò l’indipendentismo ca-
talano ai tempi della Repubblica. Le
due formazioni minori sono ancora
più a sinistra e anti-capitaliste: il
Cup è sostanzialmente una forma-
zione marxista. E l’Icv è ecologista
radicale. Le due anime della sinistra
anti-globalizzazione, insomma.
Il programma del CiU e quello
dei suoi potenziali interlocutori, so-
no il frutto di due modi diversi di
intendere l’indipendenza. Il primo
la vuole “da destra”: parte dall’as-
sunto che la Catalogna è la regione
più produttiva e ricca della Spagna
e che da sola potrebbe fare molto
meglio. Il secondo tipo di indipen-
dentismo, al contrario, si basa an-
cora sulla novecentesca dottrina del-
la “liberazione nazionale” (citata
esplicitamente nel programma del
Cup): non solo si intende raggiun-
gere l’indipendenza nazionale da
una potenza dominante (la Spagna,
in questo caso), ma si vuole rendere
il nuovo Stato autonomo anche ri-
spetto al mercato internazionale.
Tutti gli Stati sorti sulla base di que-
sta dottrina, soprattutto nelle ex co-
lonie extraeuropee, hanno adottato
sistemi socialisti nazionali, proprio
nel nome di un “progresso autono-
mo”, indipendente da multinazionali
e finanza internazionale. Questi due
modi di intendere la secessione sono
pressoché incompatibili fra loro.
Egitto: una rivoluzione 2.0
contro l’autorità islamica
Cara Obamacare
quanto ci costerai
Anche se il CiU di Artur
Mas è in calo, gli altri
secessionisti guadagnano
ancor più terreno
Come intendere
l’indipendenza: necessità
economica oppure
“
liberazione nazionale”?
K
Scontri al Cairo
i giorno in giorno, la riforma
della sanità di Barack Oba-
ma (Obamacare) appare sempre
di più come la sua spina nel fian-
co che non il suo fiore all’occhiel-
lo. Se già la settimana scorsa si era
presentato il problema degli stati
che non la vogliono implementare
come il presidente vorrebbe
(
l’Ohio, prima di tutti), questa set-
timana il Congresso inizia a valu-
tarne i costi. Il problema, prima
di tutto, è capire come funziona
questa riforma. Solitamente, in
Italia, pensiamo che si tratti di
una nazionalizzazione della sanità.
Ma porre assicurazioni, medici e
ospedali sotto il controllo dello
Stato, in America provocherebbe
una rivoluzione. E non a torto: la
sanità pubblica europea non è cer-
to un grande esempio di efficien-
za, salvo poche eccezioni. Nem-
meno Hillary Clinton, la prima
battagliera sostenitrice della rifor-
ma, ha mai pensato seriamente ad
una nazionalizzazione. La riforma,
dunque consiste in un maggior in-
tervento dello Stato per incorag-
giare/obbligare i cittadini a dotarsi
di una copertura sanitaria privata.
Per incoraggiarli sono stati con-
cepiti provvedimenti come la
“
community rating”: tutti devono
pagare lo stesso prezzo, indipen-
dentemente dal loro stato di salute
o livello di rischio. Inoltre dovrà
essere livellato il premio pagato
D
da giovani e anziani. Due esperti
del mercato assicurativo sanitario,
Paul Howard (direttore del Man-
hattan Institute’s Center for Me-
dical Progress) e Stephen Parente
(
professore alla Carlson School of
Management) prevedono molto
facilmente come questi provvedi-
menti possano alzare i prezzi, so-
prattutto per i cittadini più gio-
vani. E più della metà degli
americani non assicurati (il 55%)
ha meno di 35 anni. Consideran-
do che l’Obamacare prevede l’ob-
bligo, per le compagnie, di assicu-
rare anche chi è già ammalato o
infortunato, si può anche facil-
mente prevedere che i giovani vor-
ranno assicurarsi solo quando sa-
ranno già ammalati. E questo
comporterà un ulteriore aumento
dei prezzi. Considerando poi che,
per la maggioranza dei casi, l’as-
sicurazione sarà obbligatoria, noi
italiani possiamo capire come e
quanto le compagnie tenderanno
a far cartello, esattamente come è
successo con l’RC dalle nostre
parti. E per fortuna che l’Obama-
care deve aiutare i poveri! I liber-
tari più sospettosi pensano che sia
stata scritta e concepita male ap-
posta per mandare in tilt la sanità.
E avere una scusa buona per na-
zionalizzarla. Non ci sono prove
per confermare questa teoria co-
spirativa. Ma a pensar male…
GIORGIO BASTIANI
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 27 NOVEMBRE 2012
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