stabiliti dalla Banca Centrale Eu-
ropea stessa. Infatti, durante gli an-
ni precedenti la crisi, tutti questi
paesi, tranne la Grecia, hanno fa-
cilmente osservato i limiti di deficit
del 3%, e alcuni, come Spagna e
Irlanda, hanno persino chiuso i lo-
ro conti pubblici con grandi sur-
plus. Quindi, se il cuore dell’Unio-
ne Europea è stato escluso dal
processo americano di irrazionale
esuberanza, il processo è stato ri-
petuto con grande intensità nei
paesi europei periferici, e nessuno,
o poche persone, hanno corretta-
mente diagnosticato il grave peri-
colo che incombeva. Se gli accade-
mici e le autorità politiche sia dei
paesi interessati che della BCE,
piuttosto che usare gli strumenti
analitici macroeconomici e dei mo-
netaristi importati dal mondo an-
glosassone avessero usato quelli
della teoria austriaca del ciclo eco-
nomico – che dopo tutto è un pro-
dotto del più genuino pensiero
continentale – essi sarebbero riu-
sciti a identificare in tempo la na-
tura artificiale della prosperità di
questi anni, l’insostenibilità di mol-
ti investimenti (specialmente rispet-
to allo sviluppo del settore immo-
biliare) che venivano intrapresi
grazie alla grande disponibilità di
credito e la natura, di breve durata,
del sorprendente influsso delle cre-
scenti entrate pubbliche. Eppure,
fortunatamente, anche se nel ciclo
più recente la BCE non è stata al-
l’altezza degli standard che i citta-
dini europei avevano il diritto di
aspettarsi, e potremmo anche chia-
mare la sua politica una “solenne
tragedia”, la logica dell’euro come
valuta unica ha prevalso così chia-
ramente da esporre gli errori com-
messi, obbligando tutti a tornare
sul sentiero del controllo e dell’au-
sterità. Nella prossima sezione ci
soffermeremo brevemente sul mo-
do specifico in cui la Banca Cen-
trale Europea ha formulato la sua
politica durante la crisi e in quali
punti questa politica differisca da
quella seguita dalle banche centrali
di Stati Uniti e Regno Unito.
6. Euro contro Dollaro (e Sterlina)
e Germania contro Stati Uniti (e
Gran Bretagna)
Una delle più importanti carat-
teristiche dell’ultimo ciclo, culmi-
nato nella Grande Recessione del
2008, è stata, senza dubbio, il dif-
ferente comportamento nelle poli-
tiche fiscali e monetarie dell’area
Anglo Sassone, basate sul nazio-
nalismo monetario e quelle perse-
guite dai paesi membri dell’unione
monetaria europea. Effettivamente,
dall’inizio della crisi, sia la Fed che
la Banca d’Inghilterra hanno adot-
tato politiche monetarie di ridu-
zione dei tassi vicine allo zero; im-
missione di grandi quantità di
moneta nell’economia (eufemisti-
camente chiamate “alleggerimento
quantitativo”); e continua, diretta
e sfacciata monetizzazione del de-
bito pubblico. A questa politica
monetaria permissiva (con la be-
nedizione dei monetaristi e Keyne-
siani) è stato aggiunto un forte sti-
molo fiscale con lo scopo di
mantenere, sia negli Usa che in GB,
i deficit di bilancio vicini al 10%
del Pil (riduzione considerata in-
sufficiente dalla maggior parte dei
Keynesiani recalcitranti, tra cui
Krugman).
In contrasto con la situazione
del dollaro e della sterlina, nel-
l’area euro, fortunatamente, il de-
naro non può essere così facilmen-
te iniettato nell’economia, né l’av-
ventatezza di bilancio può essere
mantenuta indefinitamente. Alme-
no in teoria, la Bce manca dell’au-
torità necessaria alla monetizza-
zione del debito pubblico e,
sebbene abbia accettato bond so-
vrani come collaterali dei suoi
enormi prestiti al settore bancario
e abbia iniziato, a partire dall’esta-
te del 2010, ad acquistare diretta-
mente e sporadicamente obbliga-
zioni dei paesi periferici (Grecia,
Portogallo, Irlanda, Italia e Spa-
gna), vi è certamente una differen-
za economica fondamentale tra il
comportamento degli Stati Uniti e
quello del Regno Unito e la poli-
tica seguita dall’Europa continen-
tale: mentre l’aggressività moneta-
ria e la spericolatezza fiscale
vengono deliberatamente e sfac-
ciatamente adottate senza riserve
nel mondo Anglo Sassone, in Eu-
ropa tali politiche sono perseguite
controvoglia e, in molti casi, dopo
numerosi, ripetuti ed infiniti “sum-
mit”. Sono il risultato di lunghi ed
estenuanti negoziati tra le parti, nei
quali paesi con diversi interessi de-
vono raggiungere un accordo. Inol-
tre, molto più importante, quando
la cartamoneta è iniettata nell’eco-
nomia, supportando i debiti sovra-
ni dei paesi in difficoltà, tali azioni
sono sempre bilanciate con, e con-
sentite in cambio di, riforme basate
sull’austerità di bilancio (e non
pacchetti di stimolo fiscale) e sul-
l’introduzione di politiche dal lato
dell’offerta che incoraggiano libe-
ralizzazioni e competitività [39];
in più, sebbene sarebbe stato me-
glio fosse accaduto prima, la so-
spensione “de facto” dei pagamenti
da parte della Grecia, al quale è
stato concesso un “haircut” del
75% verso i privati investitori che
erroneamente avevano investito in
obbligazioni sovrane elleniche, ha
dato un chiaro segnale ai mercati
per cui gli altri paesi in difficoltà
non hanno alternativa, se non
quella di implementare senza ritar-
do le rigorose e severe riforme ne-
cessarie. Come abbiamo visto, an-
che stati come la Francia, che ora
sembrano intoccabili e soavemente
avvolte da uno straripante welfare
state, hanno perso valutazioni in
termini di rating creditizio sul de-
bito, dato il differenziale col bund
tedesco, vedendosi condannati al-
l’introduzione di austerity e rifor-
me liberali per evitare di mettere
in pericolo la loro membership tra
i paesi europei sostenitori della li-
nea dura [40].
Dal punto di vista politico, è
abbastanza ovvio che la Germania
(in particolare la cancelliera Angela
Merkel) abbia un ruolo principale
nella battaglia di stabilizzazione fi-
scale e austerity (opponendosi a
tutte le proposte inopportune, co-
me gli “eurobond”, che rimuove-
rebbero gli incentivi, per i diversi
paesi, ad una azione rispettosa dei
bilanci). Molte volte la Germania
è costretta a nuotare controcorren-
te. Da una parte, c’è una costante
pressione politica internazionale
per l’adozione di misure di stimolo
fiscale, soprattutto dall’ammini-
strazione Obama, che sta usando
la “crisi dell’euro” come una cor-
tina fumogena al fine di nasconde-
re i propri fallimenti politici; dal-
l’altro lato, la Germania deve
confrontarsi con il rifiuto e l’in-
comprensione da parte di tutti co-
loro che vogliono rimanere nell’eu-
ro solo per i vantaggi che questo
offre mentre, simultaneamente, essi
si ribellano contro la disciplina fi-
scale che la moneta unica impone,
soprattutto ai politici populisti e
più irresponsabili e ai gruppi di in-
teresse privilegiati.
In tutti i casi, e come illustra-
zione che, comprensibilmente, farà
infuriare i Keynesiani e i moneta-
risti, dobbiamo mettere in luce i ri-
sultati non confortanti che, ad ora,
sono stati raggiunti con gli stimoli
fiscali Americani e gli “alleggeri-
menti quantitativi”, comparati alle
politiche dal lato dell’offerta tede-
sche e l’austerità fiscale nella zona
euro: deficit di bilancio tedesco 1%
– deficit Usa oltre 8,20 %; disoc-
cupazione tedesca 5,9% – disoc-
cupazione Usa vicina al 9%; infla-
zione tedesca 2.5% – inflazione
Usa 3.17%; crescita tedesca 3% –
crescita Usa 1.7% (i dati del Re-
gno Unito sono ancora peggiori di
quelli americani). Lo scontro tra
paradigmi non potrebbe essere più
evidente [41].
7. Conclusione: Hayek contro
Keynes
Proprio come col gold standard
a suo tempo, oggi una marea di
persone criticano e incolpano l’eu-
ro per il suo principale pregio: la
capacità di disciplinare i politici
stravaganti e i gruppi di pressione.
Chiaramente, in nessun modo l’eu-
ro costituisce lo standard moneta-
rio ideale, il quale, come abbiamo
precedente visto, può solo essere
costituito dal classico gold stan-
dard, con un coefficiente di riserva
del 100% sui depositi a vista e
l’abolizione della banca centrale.
Perciò, è possibile che, trascorso
un certo periodo di tempo e cal-
matisi i tumulti finanziari, la Bce
possa tornare a commettere gravi
errori del passato, promuovendo
e favorendo la crescita di nuove
bolle di espansione creditizia[42].
Tuttavia, lasciateci ricordare che i
peccati della Fed e della Banca
d’Inghilterra sono stati molto peg-
giori e che, almeno nell’Europa
continentale, l’euro ha messo fine
al nazionalismo monetario e, per
gli stati membri, sta agendo, timi-
damente, come “proxy” (appros-
simazione) del gold standard, in-
coraggiando rigore fiscale e
riforme mirate a migliorare la
competitività, mettendo fine agli
abusi del welfare state e della de-
magogia politica.
Comunque sia, dobbiamo rico-
noscere di essere in una congiun-
tura storica [43]. L’euro deve so-
pravvivere se tutta l’Europa vuole
adottare la tradizionale stabilità
monetaria tedesca, che, in defini-
tiva, è l’unico ed essenziale model-
lo attraverso cui, nel breve e nel
medio termine, la competitività eu-
ropea e la crescita possono essere
sostenute. Su scala mondiale, la so-
pravvivenza e il consolidamento
dell’euro permetterà, per la prima
volta dalla Seconda Guerra Mon-
diale, l’emersione di una valuta ca-
pace di competere concretamente
col monopolio del dollaro come
standard monetario internazionale,
quindi capace di disciplinare l’at-
titudine americana a provocare cri-
si finanziarie sistemiche, come
quella del 2007, che mettono co-
stantemente in pericolo l’ordine
economico mondiale.
Poco più di 80 anni fa, in un
contesto storico simile al nostro, il
mondo era diviso tra il manteni-
mento del gold standard, con la di-
sciplina fiscale che questo compor-
tava, la flessibilità lavorativa e il
libero e pacifico commercio e il
suo abbandono, con la conseguen-
te diffusione del nazionalismo mo-
netario, le politiche inflazionistiche,
le rigidità lavorative, l’interventi-
smo, il “fascismo economico” e il
protezionismo. Hayek e gli Au-
striaci guidati da Mises compirono
uno sforzo intellettuale titanico
nell’analizzare, spiegare e difendere
i vantaggi del gold standard e del
libero scambio, in opposizione ai
teorici, guidati da Keynes e dai
monetaristi, che scelsero di ripu-
diare i fondamenti fiscali e mone-
tari del laissez faire, i quali aveva-
no innescato la Rivoluzione
Industriale e il progresso della ci-
vilizzazione [44].
In quella occasione, il pensiero
economico prese una strada diver-
sa da quella preferita da Mises e
Hayek e tutti noi abbiamo fami-
liarità con le conseguenze econo-
miche, politiche e sociali che fecero
seguito a quella scelta. Come con-
seguenza, oggi, nel ventunesimo se-
colo, incredibilmente, il mondo è
ancora afflitto da instabilità finan-
ziaria, mancanza di disciplina di
bilancio e demagogia politica. Per
tutte queste ragioni, ma principal-
mente perché l’economia mondiale
ne ha un estremo bisogno, in que-
sta nuova occasione [45], Mises e
Hayek meritano una rivincita e
l’euro (almeno provvisoriamente,
finché non sarà rimpiazzato una
volta per sempre dal gold stan-
dard) merita di sopravvivere[46].
Traduzione di
Francesco Simoncelli,
Antonio Manno,
Nicolò Signorini e Luigi Pirri
4/fine
II
CULTURA
II
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 26 AGOSTO 2012
5